La farsa di Carnevale a San Costantino di Briatico

Una tradizione recuperata dagli anni Trenta
Per il secondo anno consecutivo, San Costantino di Briatico ha recuperato un'antica rappresentazione del carnevale, con un programma misto di percorsi, tracce e improvvisazioni costruiti tra farse carnascialesche e teatralità di strada. Una vera antica tradizione popolare che si svolgeva in paese, a memoria d'uomo, già agli inizi del '900, fino al 1949, ma che ha certamente radici antichissime. Nelle sue molteplici simbologie si colgono aspetti arcaici precristiani, medievali e cinquecentesche.
Un teatro della pazzia che ci ricorda tanto le storie che accadevano nel classico arcaico carnevale dei pazzi della Parigi di "Notre Dame de Paris" di Victor Hugò. Un percorso ritualizzato, dimenticato, un itinerario d'oggi che mette in scena il "discorso di Carnevale", un poemetto dalle radici popolari scritto da Grazioso Garrì ed ambientato proprio nella San Costantino degli anni Trenta. L'invito, curato dall'amministrazione comunale di Briatico, dal suo assessore alla cultura, Agostino Vallone ha suggerito di intervenire all'evento con costumi improvvisati secondo l'originale tradizione calabrese. I personaggi previsti dal copione della farsa sono, oltre a Carnevale, il medico, il prete, Corajisima, Quaresima la sorella triste di Carnevale, la figlia di Carnevale, i Ciangiulini (le prefiche vestite di nero), i confratelli, becchini e tamburi rullanti.
Gli interpreti di questo singolare recupero tradizionale sono stati attori improvvisati nelle persone di Lorenzo Di Bruno, Agostino Vallone, Salvatore i Micuccia du Pani, Micucciu u mellusu, Marianunzia Garrì, Francesco Sicari, Antonio Di Bruno, Enrico Damiano Vallone, i ragazzi del paese e interprete attore principale il fantoccio simulacro di Re Vicen zuni. Perché Carnevale, nella tradizione popolare, si chiamava proprio Vincenzo. Ed ecco cosa si scriveva nel 1598 nell'Avviso a certi curati contra un abuso del principio della Quaresima. "…intendiamo che tuttavia per coteste parti, non ostante altri nostri avisi, nel principio della Quaresima et anche nelle Domeniche di essa, si commettono varii inconvenienti ancora in luoghi sacri sotto nome di Carnovalaccio, con abbrucciare certe immagini, publicare matrimonii finti e commettere altri disordini e dissoluzioni e far mangiamenti publici et empire ogni luogo di gridi e fatti licenciosi: cosa che risulta in onta et ingiuria del santo tempo quadragesimale e de' luoghi sacri et in poco rispetto del sacramento del matrimonio et anche in disgusto di molti (...)" e qualche anno dopo nel 1606 si parla di "allegrezze vane, piaceri disordinati, mere pazzie, miscugli d'uomini e donne disposti a' piaceri sensuali, ornamenti eccessivi, riscaldamento di cibi, incitamento di suoni, conversazione oziosa, libertà di mascara, movimenti lascivi, saltazioni e danze licenziose, balli, conviti, giuochi, trattenimenti oziosi e vani.." Un cambiamento provvisorio vissuto anche oggi a San Costantino di Briatico che si evidenzia, tra tanti carnevali massificati e appiattiti da carri allegorici e mascherine varie, come capitale del'arcaico carnevale tradizionale calabrese. É un periodo rituale e speciale durante il quale si forma nel paese una nuova metastorica comunità a carattere provvisorio. In questa comunità tutti gli elementi teatrali e simbolici non fanno altro che evidenziare la condizione sociale del gruppo, gli aspetti rituali legati al mondo arcaico e agropastorale di propiziazione, di difesa del territorio e del raccolto, degli animali e anche di una sorta di difesa ed eliminazione del male attraverso forme apotropaiche di gestualità rituale. A San Costantino il mesto corteo di bianchi confratelli incappucciati, che a tratti è diventato festoso, ha segnato al buio, con la sua ambigua e irreale presenza, tutto il territorio paesano attraverso un itinerario, tra le vie, nelle piazze, nei vicoli dove la farsa, l'elogio, il lamento funebre ha esorcizzato e protetto mente un uomo incappucciato di nero bandiva un infuocato incensiere fumante di vapori di peperoncini piccanti incendiati.
Franco Vallone

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