L’allestimento de “Le Stanze della Luna” al Calvario di San Leo Vecchia

Briatico - Venerdì Santo, sono appena passate le diciotto, siamo nella soglia tra la luce e il buio, tra il tramonto e la notte, quando l’antico calvario, icona della Passione di Cristo, viene allestito dai soci dell’Associazione Migrans di Briatico con fasci di palme e ulivo. Nella nicchia centrale del calvario alcuni fiori rossi e viola, come la tradizione più antica prevede. Ai margini del rudere, poco lontani, ci sono ancora i resti abbandonati e silenziosi del borgo di San Leo Vecchia. Il Calvario, l’antico manufatto, a metà strada tra San Costantino di Briatico e la nuova San Leo, viene illuminato da decine di piccoli lumini rossi. Per la realizzazione di questa operazione culturale de “Le Stanze della Luna” è stata ripulita la zona, a cura del comune, da rovi ed erbe alte. È già buio quando il vecchio calvario illuminato da una luce rossa, fioca ma suggestiva, riprende vita, in un’ambientazione, altamente simbolica, che può servire anche a sensibilizzare al recupero dell’identità del più antico calvario a tre croci del territorio di Briatico. All’iniziativa, patrocinata dal Comune di Briatico, attraverso l’Assessore alla Cultura, Agostino Vallone, ha voluto essere presente un emigrato di Briatico a Torino, Tommaso Prostamo, con la sua macchina fotografica in mano e i suoi tanti ricordi dentro, ma anche l’antropologo dell’università la Sapienza, Luigi M. Lombardi Satriani e la psicologa Cristina Tumiati che ha consegnato simbolicamente, alla nicchia centrale del calvario, la copia di un antico testo, un “Orologio della Passione” che si recitava in vernacolo proprio nella zona di San Leo Vecchia, un documento recuperato nel ‘900 dall’illustre folklorista Raffaele Lombardi Satriani di San Costantino di Briatico. Ed ecco come Luigi Maria Lombardi Satriani ha parlato, per l’occasione, della funzione e del valore antropologico dei calvari: “I calvari segnavano proprio la fine dell’abitato, erano costruiti al termine del paese, ed è una posizione significativa perché così i calvari si pongono tra l’esterno e l’interno, e, rappresentando il ricordo della passione e morte di Cristo, possono essere visti come una sorta di tomba paradigmatica del Cristo. Ma Cristo, a sua volta, è morto paradigmatico, perchè Cristo muore e attraverso la sua resurrezione tutta l’umanità risorge, questo è anche il senso liturgico, il senso cristiano della risurrezione di Cristo. I calvari costituiscono una sorta di protezione simbolica di tutto l’abitato rispetto alle negatività, ai pericoli. Come le mura recintavano lo spazio abitato proteggendolo dai rischi realistici c’è anche la necessità di proteggerli da un rischio simbolico della negatività. Il Cristo e il calvario costituiscono la protezione massima per l’abitato. Anche a San Costantino, al termine del paese, vi era posto il calvario, come anche a Briatico e in tanti altri paesi, poi, naturalmente, l’espansione urbanistica molte volte supera questo, nel senso che va in crisi il modello urbanistico, e quindi anche la griglia di protezione. Dovendone dare una lettura antropologica, come abbiamo fatto Mariano Meligrana ed io nel volume “Il Ponte di San Giacomo” in cui proprio esplicitamente parliamo di questa dimensione di tomba paradigmatica del Cristo, posso dire che il Calvario costituisce una linea di demarcazione, è la protezione massima. Stabilisce una sorta di ”al di qua e al di là”. Divide lo spazio dove c’è la legge, la comunità, la città da uno spazio dove c’è il disordine. Nell’architettura tradizionale dei nostri paesi e nella topografia simbolica i calvari assumono un significato fondante, di grandissima valenza, quindi costituiscono anche una testimonianza, oltre che architettonica, anche di quella che era la cultura tradizionale dei nostri paesi. Il mascherone con la lingua di fuori, con le corna, ad esempio, ha per il territorio una funzione apotropaica, contro il male, contro l’invidia, contro il malocchio. Il calvario ha una funzione ancora più complessiva, di protezione, di tutto lo spazio. Rende lo spazio del paese - di fronte a questo calvario c’era appunto San Leo Vecchia - uno spazio abitabile senza pericolo, senza pericolo simbolico”.


Franco Vallone

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