A Tropea il Film Festival “…e dopo cadde la neve” di Donatella Baglivo

Il grande telo bianco, sotto le stelle di Tropea, si muove sinuoso in questo porto della Perla del Tirreno. Non è la dolce brezza marina tropeana a scuoterlo ma le stesse forti, prorompenti immagini del film della regista romana Donatella Baglivo. Il titolo dell'opera presentata al concorso s'intitola "…è dopo cadde la neve, il titolo suggerisce un dopo da "quiete dopo la tempesta" ed i 90 minuti del film sono tempesta fitta di forti simbologie, mai casuali, che rimandano continuamente a messaggi mediati da suoni, colore, immagine, percezioni semantiche, insieme ad una fotografia ricercata, sapiente e studiata nei minimi particolari. Un film con una sceneggiatura intrisa di quel periodo in cui è ambientato. Sono passati gli anni settanta, si varca il ventennio che accoglierà un futuro che sembrava non arrivare mai, il 2000, momento soglia carico di voglia di cambiamento. Siamo a Sud, nell'Irpinia dove tutto è meridione, danza popolare, suono, ballo, musica e gioco, tradizioni profonde e percorsi ritualizzati da secoli ma anche apparizioni e miracoli inattesi. Donatella Baglivo parte con il suo film in modo lento. Mostra spaccati di esperienze riprese dalla vita di tutti i giorni. Ed in queste "finestre" si intravedono sogni, speranze, l'erotismo velato di coppie che si stanno formando, il ludico gioioso di bambini. Tutto scorre nel quotidiano lento vivere del Sud'Italia. La regista sottolinea strati sociali, ambientali ed antropologici di un meridione in eterna contraddizione per un'attesa di cambiamento che tarda a realizzarsi. Il film si carica di segni che preannunciano qualcosa di forte, la ritmica del film si fa incalzante. Poi l'attimo eterno dove tutto cambia, sovverte, elimina e forse, qualche volta, perdona. È l'azzeramento di cose e di case, di storie e di uomini, d'amori e di sogni con cui il mezzogiorno d'Italia è da sempre abituato a convivere. La regista ci confida che girare quelle brevi eterne scene è stato il momento più faticoso, 90 secondi che mettono a nudo le miserie più vere di questo mondo. Le scene del cataclisma sono forti e realistiche, quasi eterne. Donatella Baglivo ha preferito realizzare queste scene senza l'utilizzo di finzioni di studio, computer grafica e polistirolo. Ha preferito muri veri, pesanti travi, tavole e polvere, ferro e calcinacci. Il risultato è visibile nel film. Questa scena ricorda, per affinità, l'inizio del film "Pompei 79 d.C." dove il Vesuvio distrugge tutto in un attimo. Da queste scene del terremoto in poi il film cambia in un gioco di "ricostruzioni" e di "testimonianze" dove le vite recuperabili, quelle non completamente distrutte per sempre, cercano un riscatto, un recupero attraverso il filo rosso della tradizione raccontata, dell'identità mai perduta che unisce le generazioni di uomini in questi arcaici luoghi. Donatella sente sua la storia, vive le struggenti esperienze di luoghi e persone. I suoi attori, sono stati anche le auto che compaiono continuamente nel film. Con i diversi colori della carrozzeria la regista scandisce anche le cronologie del film con le mode, i costumi e i modi. La "fine" che non c'è perché la storia continua nella vita reale di tutti i giorni dell'Irpinia di oggi, rinnovando tempi con canzoni dal sapore napoletano, cose e persone sopravvissute e rinnovate. Le attese, le aspettative, le violazioni ma anche un matrimonio dopo anni di attesa conferma che forse la dimenticanza nel rispetto della memoria è l'unica speranza e cura per ricominciare a vivere. Un successo per Tropea Film Festival nell'accogliere tra le opere in concorso questo prezioso racconto filmico antropologico e per tutti coloro che hanno avuto ieri sera l'occasione di poter seguire il film.
Franco Vallone

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