Presentato a Vibo Valentia il volume "La Calabria" - Non saper leggere e scrivere; la cultura che si raccontava con la parola

A Vibo Valentia, presso l'auditorium del Centro Sistema Bibliotecario Vibonese, si è svolta la presentazione del volume “La Calabria”, a cura di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido, con interventi del regista Vittorio De Seta, di Giuseppe Braghò, Gilberto Floriani e dei curatori del volume. Un incontro organizzato dal Centro Sistema Bibliotecario di Vibo Valentia e dall'Associazione culturale “Non Mollare” di Pannaconi di Cessaniti.
Per chi conosce o crede di conoscere la nostra regione questi scritti, recuperati e riproposti ad una fruizione popolare da Giuseppe Candido e Filippo Curtosi, sono un vero e proprio viaggio nelle antiche costumanze di un tempo. Sono alcuni scritti de "La Calabria" di Luigi Bruzzano, selezionati e stampati oggi per offrire una sorta d'inedito itinerario effettuato senza alcuna retorica del tempo passato, senza nostalgie preconcette dell'antico che non c'è più dove tutto, per una sorta di di distorsione mentale di lettura dell'oggi, era più povero ma bello. Un viaggio in quella Calabria di fine ottocento tra contadini veri, tra gente sofferente di fatica e gioiosa del vivere quotidiano, tra lutti e feste, tra amore romantico e carnalità passionale, tra lavoro e gioco. È un viaggio, riletto simbolicamente, tra la gente che, quando raccontava, credeva profondamente a quanto veniva raccontato perché tutta la conoscenza posseduta era stata loro tramandata proprio attraverso racconti. In fondo, per chi non sapeva leggere e scrivere, questa era la vera e propria cultura, il racconto era tesoro, appartenenza alla comunità, era memoria e identità, conoscenza da tramandare, sapere personale e collettivo da trasmettere a chi veniva dopo, era la propria profonda cultura della memoria. Dopo i vasti recuperi archeologici del Settecento, l'Ottocento offre stimoli a tanti viaggiatori stranieri che scendono nel Sud Italia per vedere e descrivere in maniera oleografica. La tradizione orale diventa scritta, recuperata da appassionati studiosi, da chi aveva percepito profondamente il valore in essa racchiuso. Si comprende, negli scritti raccontati nelle pagine de “La Calabria” di Bruzzano e dei suoi collaboratori attivi in loco, una sorta di potere delle parole e una speciale coscienza nascosta nelle stesse parole, che viene alla luce come un prezioso reperto da recuperare subito e da studiare, da capire, da analizzare, esporre alla vista ed essere offerto alla conoscenza di più persone non per fini puramente folkloristici, ma per una comprensione più profonda e generale di forme culturali dinamiche e vitali che riescono a far conoscere e riconoscere la comunità a se stessa e, per la prima volta, anche agli altri che stanno al di fuori di essa. Ma quale vetrina, pur simbolica, poteva avere in quel tempo un canto, una leggenda popolare, un indovinello, un pregiudizio, un frammento orale descrivente ricette culinarie ed usi della medicina popolare, una credenza o altri detti e ridetti, racconti raccontati nei vari dialetti e da mille voci differenti. Quale potere culturale uniformato ci poteva essere in quelle parole raccontate in dialetto stretto e molte volte anche non dette affatto. In nome di una conoscenza più generale dei popoli dell'Italia meridionale si percepisce, già in quella remota epoca, la più alta considerazione della cultura subalterna che poi sono le tante culture popolari, le stratificazioni culturali che non sono morte nella memoria ma che vivono nel racconto, cambiano, progrediscono, si modificano e non solo si trasmettono. Il limite della lingua dialettale e della toponomastica locale viene superato da un interesse più ampio e profondo rivolto verso tutto ciò che viene recuperato dalla parola e dal dare parola alla gente, a pastori, contadini, pescatori, massari, coloni e fattori. È la storia della gente che vive la propria vita con le tante culture raccontate addosso, parole possedute, tramandate e con la convinzione che dentro queste parole raccontate, gridate, sussurrate o solo percepite nella metafora e nel non detto, ci sia racchiuso il potere infinito del sapere tramandato da migliaia di anni prima testimoniato da rimasugli archeo-linguistici, in similitudine con racconti greci, o con antichi residui e contaminazioni culturali di spagnoli, francesi, normanni, arabi, germanici..., reperti che vivono nel reperto vivo e nell'attuale contemporaneo del tempo. Il tesoro delle parole, recuperato da Luigi Bruzzano per la pubblicazione della sua “La Calabria” di fine Ottocento, scalfisce la barriera del mondo popolare del tempo passato e ricordato con il recupero, alcune volte davvero inedito, che scava nel tempo speciale delle feste, delle usanze e delle danze e dei passatempi del momento ludico, nel racconto delle nenie, nella descrizione di fatti e costumanze ritualizzate, del vitto e della cucina, della medicina popolare, del vestiario, delle superstizioni e delle credenze religiose, magiche e delle loro tante ritualità e liturgie. Ogni attività, anche la più semplice, non viene mai sottovalutata, viene percepita come azione detentrice di cultura capace di far luce sul carattere più profondo di un popolo del Sud e dei caratteri che ne reggono le sorti, percependo pregi e difetti ma anche coscienza del mantenimento di una resistenza di caratteri e caratteristiche di una identità culturale e del senso di appartenenza costruito dai calabresi, giorno dopo giorno, in migliaia di anni.
Franco Vallone

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