Bova - Un angolo di Grecia antica nella Calabria moderna

Si scrive Bova, si legge cuore dell’area ellenofona.
Nel suo isolamento geografico custodisce voci, tempi e modi di una lingua millenaria, rivalutata da appassionati cultori di usi e costumi ereditati dagli antenati. La strada che porta a Piazza Roma copre a fatica il dislivello con l’arenile 820 metri più in basso. In compenso offre alla vista scenari di grande bellezza. Persino l’Etna appare al di là del mare. Monti, coste e vallate si osservano da affacci palesi e segreti. I vicoli sono stretti, intriganti come scale e case d’annata, costruite pietra su pietra. Per averne conoscenza con cognizione di causa, occorrono piedi buoni per camminare. Nei negozietti si può fare incetta di specialità gastronomiche e vini autoprodotti. Tra gli abitanti resiste il culto del passato che non ritorna se non con i riti della buona tavola.

Se Natale è ricordato con protali (mezzelune di pasta frolla, farcite con macinato di fichi secchi, noci, mandorle, bucce d’arancia e mandarino), a Pasqua si consumano nguti, cioè dolcezze cotte al forno contemporaneamente all’uovo posto al centro di esse. Anevamena (ciambelle con cimino infornato), caratonfolo (specie di tartufo viola), curcudia (latte e polenta), ascadia (fichi d’India al forno), lestopitte (sfoglie salate fritte e croccanti), vanno bene per altre feste comandate, ma basta il pasto di tutti i giorni per consumare uova alla fiamma di molassa, carciofini selvatici sott’olio, pane con lievito naturale, pecorino grattugiato sui maccheroni al sugo di capra. L’assaggio del vino novello coincide con la sagra organizzata per l’estate di San Martino. In altri periodi dell’anno, la liturgia religiosa si vive in contemporanea con divertimenti pagani.

Imponenti sono i festeggiamenti in onore di San Leo, patrono venerato nell’omonimo santuario. In estate, l’attrattiva principale è Paleariza (Antica radice), festival etnico-musicale che facilita l’incontro di vecchi sound e soul con nuove sperimentazioni tecniche e concettuali. La fusione di ritmi tradizionali con echi dal mondo globale coinvolge giovani di belle speranze e musicisti di fama internazionale: Avitabile, Branduardi, Bollywood Brass Band, De Sio, Hevia, Noa. Gli incontri multiculturali si snodano su percorsi itineranti, nei comuni di tutta la Bovesia, lungo la Vallata dell’Amendolea: 454 kmq di dolci colline, salite pedemontane e contrade isolate. Il coinvolgimento degli abitanti è totale, a riprova della tradizionale ospitalità locale. BovArchè, giunta alla decima edizione, è un appuntamento di espressioni multisensoriali firmate da artisti che scelgono come vetrina d’esposizione punti strategici del paese.
Il Centro Museale di Paleontologia è unico nel suo genere. Non è un’iperbole definirlo d’eccellenza. Nell’ esposizione sistematica e organica comprende 15 mila fossili, risalenti ad ere comprese tra 100 mila e 120 milioni di anni fa. Tra i reperti si ammirano elementi di provenienza internazionale.

Famiglie nobili e ricche hanno lasciato a Bova dimore di tutto rispetto. Palazzo Nesci è un bell’esempio di architettura civile settecentesca, con tanto di stemma gentilizio sul portale, arco a tutto sesto e paraste a sostegno della trabeazione.

La struttura di Palazzo Mesiani-Mazzacuva si distingue per l’articolazione plastica, l’impiego della muratura a faccia mista, il portale in stile tardo-rinascimentale e la torre innalzata nel punto di accesso al paese al tempo dei Normanni. Palazzo Marzano è sede del Municipio. Degne di attenzione sono le dimore gentilizie dei Tuscano, Romeo, Larizza e Condemi. Nella comunità composta da circa 500 anime, è singolare la presenza di molte chiese, interessanti dal punto di vista artistico, storico e architettonico.

Una visita approfondita merita la Cattedrale della Madonna della Presentazione o Isodia, costruita sui basamenti della chiesa bizantina di Maria Santissima Odigidria, (Colei che indica la via), venerata tuttora nell’Europa nord-orientale e in Sicilia. L’impianto originale del IX secolo è a basilica, modificato nel tempo nell’abside, nel prospetto principale e nelle cappelle. La navata centrale, con soffitto ligneo a capriate, si chiude ad est sul coro dalle proporzioni allungate, accessibile attraverso una larga scalinata. Nella nicchia sopra l’altare centrale, imponente e solenne, si trova la statua della Vergine col Bambino. L’opera, in marmo di Carrara, è di Rinaldo Bonanno e risale al 1584.

Le due cappelle a fianco sono dedicate all’Assunta e al Santissimo Sacramento, mentre nelle due disposte lungo le navate laterali si venerano la Madonna del Rosario e la Madonna Ausiliatrice. Un tempo l’attuale sacrestia corrispondeva alla Sala del Capitolo. La Cantoria poggia su due pilastri sopra l’ingresso principale. Il sagrato è in posizione dominante rispetto all’abitato, con campanile completamente staccato dalla facciata principale, spoglia e severa, divisa in tre parti dalle lesene. Il portale tardo barocco presenta: stipite in pietra con riquadro superiore, mensole, pennacchi e piccoli capitelli, poggianti sulle colonnine laterali, anch’esse in pietra.

La tela settecentesca dell’Immacolata, proveniente dall’omonima chiesa chiusa al culto, è firmata da pittori calabresi sotto influssi di scuola napoletana, mentre la cappella del Sacramento è ritenuta opera di maestri siciliani. Altri insigni cesellatori, nel XVI secolo, hanno lasciato il segno a Bova con particolare riferimento al Montorsoli. Ai discepoli della Bottega dell’illustre scultore fiorentino è attribuita la statua di san Leo, posta nella nicchia, con due ordini di colonne in marmo rosso e scanalature bianche, sopra l’altare maggiore del Santuario cittadino, caratterizzato dal portale secentesco. Il prezioso reliquiario e busto in argento dello stesso santo sono custoditi in una cappella, eretta per devozione dai Marzano nel 1722.
Le campane delle varie chiese esercitano attrazione fatale per via del timbro derivante dalle differenti dimensioni. L’interesse artistico riguarda i fregi decorativi. L’ indagine storica è riservata a date e iscrizioni incise sulla superficie. Nella torre della Cattedrale se ne trovano quattro, ma una sola fa sentire i suoi rintocchi nel periodo della Quaresima. Essendo di notevole grandezza, è conosciuta come il Campanone di marzo. Anche San Leo ha quattro campane. Due sono impiantate sotto un’unica arcata. Sulla più piccola del 1561 sono scolpite la figura di Maria, Giuseppe e l’apostolo Pietro. Sulla più grande compare santa Caterina, un ninfetto e un altro personaggio non identificato. Nella Chiesetta dell’Immacolata, le campane sono due, con iscrizioni facenti riferimento ai Marzano, gli antichi committenti e proprietari.
Nella Chiesa della Madonna del Carmine, sono tre gli archi nei quali sono inseriti i manufatti bronzei del 1586 e del 1590. In quella di san Rocco, dopo aver percorso l’ unica navata centrale, si accede all’abside semicircolare, con arco a tutto sesto, soffitto in legno e rosone dipinto. Il portale del prospetto principale è in pietra intarsiata, decorata alla base. Riservata al rito greco-ortodosso, è la Chiesa dello Spirito Santo.

La Parcopia o Torre nuova è una costruzione normanna di avvistamento e difesa del X secolo. Antecedenti sono i vani ricavati nella roccia, considerati rifugio sicuro di uomini primitivi prima ancora che di monaci ed eremiti del periodo basiliano. La presenza degli Ausoni ha altra datazione. Le armi di silice lavorata, rinvenute sulla sommità della collina, appartengono al neolitico. La presenza di ossidiana testimonia scambi commerciali con le Eolie nel IV millennio a.C. Se vogliamo mettere da parte la storia, che attribuisce la fondazione di Bova a coloni greci tra VIII e VI secolo a.C., possiamo far parlare la leggenda della regina che scelse le pendici circostanti l’attuale abitato per un nuovo regno. I contatti con la madre-patria continuano ai nostri giorni per il tramite del gemellaggio con Palaion Faliron, centro balneare molto rinomato nei pressi di Atene.
Non è leggenda il segreto della sorgente Clistì (luogo velloso), alimentata da acqua buona per ingrassare i cavalli. Perfino Papa Innocenzo XI volle saperne di più, dando per scontato che dalla fontana Pietrofilippo sgorgasse acqua da bere mentre l’approvvigionamento per uso domestico era consentito all’utilissima Sifoni.

Tutte le vie convergono nel luogo occupato dai ruderi del vecchio castello, unico come punto di osservazione sull’orizzonte aperto a 360 gradi. Da lassù chiunque può immaginare la vita che scorre al di là dello Jonio, sotto le luci di Catania. O ammirare il candore delle nevi accumulate sul cratere del vulcano etneo. Mattoni e lampioni, portali e mura perimetrali reggono il confronto con il visitatore che cerca ostinatamente memorie umane. A cominciare dall’origine del nome derivante da bove. Il mansueto animale compare sullo stemma comunale, a conferma della derivazione dal greco antico boua, successivamente contaminato dal latino e dalla voce dialettale in vua.

Un momento di collettiva sacralità popolare si ripete ogni anno la Domenica delle Palme. I contadini portano in processione le Persephoni, manichini dal corpo di donna, con struttura interna in canne e superficie esterna rivestita di ramoscelli d’ulivo, e adorna di fiori e frutti. Una volta benedette, le originali statue vengono scomposte in piccole “ steddhi ” e distribuite ai presenti perché le portino a casa e in campagna e ne ricavino benessere e fertilità tutto l’anno. Altro uso consentito è l’utilizzo contro il malocchio. La tradizione è retaggio di diverse stratificazioni culturali. In qualche modo celebra il concetto della rinascita, puntuale ogni anno in primavera. Rievoca pure il mito della madre terra Demetra, che strappò al Regno degli Inferi la figlia Persephone, dopo il rapimento messo in atto da Ade. Si riallaccia anche il rito della Quaresima, ricordato in alcune regioni della Grecia con l’esposizione di pupazze provviste di croce sulla testa.
Questa e altre sentite tradizioni trasformano la debolezza numerica dei greci di Calabria in forza di vita, alla quale occorre prestare la dovuta attenzione, allo scopo di mantenere integra l’affermazione, la conservazione e la trasmissione della specifica identità culturale.
Emma Viscomi


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