Comunità Montana Alto Crotonese Casabona: Passato e presente a portata di mano

Chi arriva, vuole vedere i sassi.
Quali? Non siamo a Matera, né Mel Gibson è stato qui a girare Passion. Magari avesse scelto Casabona per gli esterni del suo film! Ora non si saprebbe dove mettere turisti e curiosi, giapponesi in testa, presenti e frequenti nella città lucana. La Film Commission della Calabria dovrebbe fare un pensierino per fiction, documentari, film d’epoca. Il paese ha tanto da raccontare. Esiste da sempre. Conserva tracce di età del ferro e neolitica. Il pezzo forte è l’arredo funerario di un sepolcreto del IX-VII secolo a.C. visibile nel Museo archeologico di Crotone. Non mancano testimonianze di epoca romana nelle frazioni Gabelluccia di Cuccumasso e Zinga. Qui il discorso diventa ampio, perché l’antica Cinga degli albanesi di rito latino, dispone a sua volta di insediamenti in alture arenarie, interessanti dal punto di vista storico e antropologico. Il fenomeno, diventato altrove attrattiva turistica, non fu segno di miseria estrema o necessità bellica, ma scelta urbanistica non casuale, ordinata su terrazze parallele, espansa sui crinali e con uscite in un’unica via di fondo. Vedi il caso di Valle Cupa. Tutto questo dall’età della pietra al tempo dei bizantini. Solo successivamente le grotte furono stalle di asini e muli, concesse in affitto dal Comune fino al 1940. Oggi prevale l’aspetto considerevole di civiltà rupestre, con lo stesso concetto di urbanistica ambientale, estesa a igloo eschimesi, tipi indiani, nuraghi sardi e trulli pugliesi. Il fatto di essere “ricovero accogliente”, ha dato a Casabona il nome che porta. C’è anche chi fa riferimento a casu bonu, ottimo formaggio, essendo stata la pastorizia attività locale prevalente. Ma come la mettiamo con stemma e gonfalone, che propongono una casetta rurale con porta e finestre, rispettivamente con omonima scritta e stella sopra? Vuol dire che ognuno sceglie a casu la definizione bona, così è garantito il doppio significato.

Per gli itinerari, la scelta è varia e personale. Si può cominciare dalle sciolle, strapiombi di rocce in bilico su terrazzamenti, soggetti a terremoti e piogge alluvionali. La disposizione fino a otto piani, ognuno con decine di antri, è uno spettacolo della natura. Le abitazioni, scavate in rocce di argilla, mista ad arenaria, hanno vano giorno e vano notte, con nicchie per riporre oggetti e viveri. Nei lunghi pendii senza vegetazione, si trovano grotte più o meno ampie e profonde, dalle volte di tufo e affacciate su terrazze parallele, con prospettive di un certo effetto. Altro spettacolo naturale si gode a Montagna Piana, dove la mano dell’uomo non ha lasciato traccia. In compenso, però, hanno lavorato le forze della natura con erosioni, acque dilaganti e smottamenti nel corso dei secoli, a tutto vantaggio del panorama, aperto verso il mare. Il centro abitato sorge a 51 km di distanza da Crotone. Vi si giunge attraverso la statale 107, lasciandosi alle spalle Rocca di Neto.
Nel percorso religioso, conviene fare tappa almeno in tre chiese, ugualmente interessanti. La prima risale al 1765 ed è dedicata a san Nicola vescovo. Pregevoli i dipinti dell’Annunciazione e dei santi Tommaso, Francesco, Antonio, Domenico e Nicola, il venerato protettore. Fanno parte dell’arredo: la Croce d’altare in bronzo a fusione, su anima di legno interna e labili tracce d’argentatura sui puntali lavorati a giorno; la Croce d’altare a tre candelabri in ottone e bronzo argentato, con nodo e base a testine di angeli aggettanti e anima in ferro; il Calice dorato, lavorato a sbalzo su appoggio circolare con cartigli e volute in foglie d’acanto; l’Altare maggiore, di cui resta il fastigio con tarsie di marmi policromi; la Madonna col Bambino in marmo bianco, con evidenti influssi della Bottega del Gagini. La Torre campanaria è a due piani. Il Crocifisso e la Madonna con Gesù, sono del XV secolo. Una nota di merito va al pulpito in muratura, con fascia d’appoggio in legno intagliato a modanature semplici.
Il secondo appuntamento è con il Santuario di san Francesco, in aperta campagna. La Chiesa è semplice, con facciata a capanna e tetto spiovente. L’interno è ad aula unica e cappella dell’Ecce Homo sulla sinistra, con tre nicchie. L’altare, con fastigio a colonne e teca in vetri, segue lo stile scultoreo di ’700 e ’800. Insolito il dipinto di Maria santissima con scettro (o clava?) nella mano destra, alzato contro il demonio atterrato, e due angioletti reggenti la corona sul suo capo, mentre san Giovanni Battista e sant’Antonio Abate le stanno ai lati. La tela, restaurata di recente, si apprezza per la discreta fattura nella Chiesa del Battista di Zinga, dove nel 1343 esisteva già un tempio, ricordato in atti di Federico II. Nella stessa frazione, si trova il Santuario dell’Immacolata del 1400, a pianta trapezoidale, con dipinti ormai semidistrutti e un piccolo coro, che segnala, in una epigrafe del 1864, la devozione degli emigrati d’ America. La statua della Vergine è di legno, in puro stile settecentesco, con tre angioletti in basso, falce di luna sotto i piedi e corona bombata in testa. L’opera è custodita in una nicchia a vetri in fastigio d’altare, ricostruito in muratura. La Chiesa dell’Annunziata è quanto resta del Convento del 1300, voluto da Bona, regina di Polonia e duchessa di Bari, discendente degli Sforza di Milano. La Chiesa bizantina, originale espressione d’arte, presa a modello per altri luoghi di culto, è definitivamente perduta.
La Torre di guardia del ’500 fa parte del percorso storico-architettonico, dal passato nobile e fulgido, con dimore fastose, circondate da parchi e orti botanici. Villa Tallarico fu cenacolo cosmopolita, frequentato da Umberto Zanotti Bianco, Paolo Orsi, Teodoro Brenson e Guglielmo Marconi. Teresa Liguori, consigliera nazionale di Italia Nostra, chiede che sia posta sotto la tutela della Soprintendenza ai Beni culturali, non solo per la bellezza della costruzione in stile moresco, ma anche per la varietà del giardino botanico, e per l’archivio storico-scientifico del professore Tallarico, insigne medico e biologo, direttore sanitario dell’Ospedale italiano a Londra sin dal 1913. A Crotone, fu un evento l’arrivo dell’Elettra, panfilo dei Marconi, salpato da Londra nel 1925, con a bordo l’illustre calabrese, deciso a rientrare in patria, dopo aver curato personaggi di fama mondiale: Leoncavallo, Picasso, Diaz, Stravinski, ecc.
Nella splendida residenza di campagna, i grandi del ’900 erano affascinati dal panorama a perdita d’occhio su Jonio, Sila e Valle del Vitravo , ma anche e soprattutto dalla rarità di alberi importati da Asia, Africa e America. Pini marittimi di superba altezza gareggiano in bellezza con piante ultracentenarie. Una hedea brasiliensis, piantata nel 1880 per la nascita del futuro senatore Giuseppe, resiste, mentre sono sparite le araucarie. Il lungo viale di cipressi, tuje e folti cespugli di macchia mediterranea, conduce all’ingresso caratterizzato dalla presenza di un glicine giapponese dall’altezza considerevole e dai fiori enormi. Mimose, granati, lillà, spiracee e cactacee sono diffuse in ogni angolo del giardino incantato, con siepi di rosmarino dall’odore acuto e penetrante, attorno al perimetro.

Il patrimonio della Villa, comprende una ricca collezione archeologica, custodita a Genova, in attesa di essere collocata nel Museo civico cittadino, che sarà allestito a Palazzo Liguori, sottoposto a restauro e donato al Comune dagli illuminati proprietari. Ruderi del vecchio Borgo si trovano in contrada Foresta. Altri siti interessanti sono lungo le rive del Vitravo.
Emma Viscomi

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