Museo della Canzone Fondazione Erio Tripodi - Da Santa Cristina d'Aspromonte a Vallecrosia d'Imperia una vita per la musica

A tutti gli effetti, è l’esposizione più completa e interessante della Storia della Canzone italiana.
La realizzazione, con dedica a poeti, musicisti e interpreti, che hanno fatto grande la melodia di casa nostra nel mondo, è frutto della tenacia e dell’amore per il mondo delle sette note di Letterio Tripodi, nato il 3 settembre 1938, in una famiglia originaria di Santa Cristina d’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria. I suoi genitori si trasferirono in Francia, come tanti calabresi, tra gli Anni ’50 e ’60. Il figlio imparò a suonare la chitarra, sulle cui corde provò a manifestare sentimenti appassionati, compresa la nostalgia della terra natìa, tipica dell’atmosfera respirata in casa. Il suo sogno segreto era uno solo: diventare cantante di grido. Per questo fondò un complessino, con il quale raccolse discreti successi nel Principato di Monaco. Naturalmente non mancarono lusinghieri consensi anche tra gli avventori del punto di ristoro aperto dai suoi genitori a Mentone, ridente città di frontiera, considerata porta d’ingresso della Costa azzurra.

Con Ventimiglia alle spalle e Sanremo poco più in là, fu gioco forza trovarsi catapultato nella realtà del Festival, rientrare in Italia e inaugurare con le sorelle un nuovo ristorante, subito frequentato da attori, cantanti, principi e petrolieri. Furono soprattutto cantanti, parolieri, manager e discografici a considerare il locale principale punto di riferimento per stabilire alleanze, firmare contratti, decidere tournée.

Il volume di affari crebbe come l’esigenza di dare una mano nell’amministrazione e direzione dell’esercizio, considerato ormai il gioiello di famiglia. Venne così meno per il giovane di belle speranze, chiamato da tutti Erio, l’occasione di inseguire sogni di gloria dietro ai grandi dello spettacolo, in un momento di enorme cambiamento della musica in genere e della discografia in particolare. Il settore, molto produttivo fino a quel momento, ebbe un tracollo improvviso, a causa della crisi delle case italiane, sotto l’avanzata delle multinazionali con ritmi all’avanguardia, impiego di mezzi elettronici e adozione di testi rigorosamente in inglese. A quel punto, il giovane calabrese decise di concretizzare un altro sogno, covato a lungo sotto… chiave di sol: raccogliere, catalogare e conservare dischi, spartiti, strumenti d’annata, documenti d’ogni genere, attinenti alla musica italiana, succube ormai di Beatles, Rolling Stones, ecc.

Con pazienza certosina, mise in piedi il Museo della Canzone, unico al mondo, nel Parco delle Sette Note, a Vallecrosia, località a metà strada tra Imperia e confine francese, con la statua della santa protettrice Cecilia, custodita in una cappella, in un angolo pittoresco e suggestivo della Riviera di Ponente. Vi introdusse anche una locomotiva Cirilla e tre carrozze Cento Porte in disuso, delle Ferrovie dello Stato. Trasformate in accoglienti saloni, ospitarono percorsi esplicativi e didattici per scoperta, impiego, alterazione e riproduzione della voce umana attraverso mezzi meccanici.

Attrazione fatale esercitano ancora oggi: scatole musicali, organetti di Barberia, spinette, piccoli e grandi piani automatici manuali, utilizzati nel mondo intero, soprattutto per la diffusione della canzone napoletana. Carillons, carte perforate, dischi di cartone di forma quadrata, microfoni astati a polvere di carbone con staffe elastiche, apparecchi radio con cassa esterna in radica, finemente lavorata, strumenti di qualsiasi epoca e foggia, perfettamente conservati e funzionanti fanno la gioia dei visitatori, increduli e stupiti di fronte alle insolite meraviglie dei bei tempi andati.

La bacchetta del maestro Barzizza, il violino del direttore d’orchestra Angelini, la fisarmonica di Kramer, il sax di Papetti, la chitarra di Celentano sorprendono quanto il passaporto di Puccini, la romanza inedita di Leoncavallo, l’epistolario di Lina Cavalieri, cantante che fece strage di cuore e contribuì a mandare in rovina borghesi, aristocratici e regnanti, disposti a tutto pur di godere dei favori “della donna più bella del mondo”. Sì, proprio lei, la regina del caffé concerto, definita “Venere in Terra” da Gabriele D’Annunzio e “Kissing first lady” dagli statunitensi, dopo il bacio appassionato dato a Caruso, a scena aperta, al Metropolitan di New York, durante la rappresentazione della Fedora .Tra gli strumenti più ricercati, troviamo: organi Gasperini, Herlich, Mignon ed Herophon; i famosi portatili Thibouville-Lamy parigini; gli Uccelli Cantori automatici firmati da Lacroix de Mirecourt; i pianoforti Ariosa e Melodici; i fonografi Edison, con motore elettrico alimentato a batterie; straordinarie schaving machine adatte a criptare registrazioni da utilizzare in un secondo momento; juke-boxes Arietta, sorprendente novità sul finire dei mitici Anni ‘50.
Per dare visibilità alla sua creatura, Tripodi visse, da autentico innamorato, anni e anni di lunghe ricerche, insaziabile nella scoperta del pezzo migliore. Se ne andò il 4 novembre 2005. Quattro anni dopo, nel giorno di san Valentino, per il ventennale della nascita del Museo, fu sancito l’Atto costitutivo della Fondazione omonima. Senza l’azione conservatrice del nostro uomo non sarebbe mai nata, né a Vallecrosia, né in altra località della Terra del bel canto, che è l’Italia per antonomasia. Onore, dunque, al merito di questo piccolo, tenace, infaticabile, grande uomo, geniale nelle sua intuizione e quindi degno di essere ricordato, soprattutto in questo periodo, per via della mostra allestita al secondo piano del Palafiori di Sanremo, sotto la direzione artistica di Pepy Morgia. Si tratta della prima in assoluto di un’avventura itinerante che toccherà diverse città anche al di fuori dei confini patrii. Tante note sono state fissate sul pentagramma dal primo giorno di apertura (14 febbraio 1989) dei battenti del Museo, alla presenza di Luciano Pavarotti, eletto primo presidente onorario. Dall’inaugurazione in poi, le manifestazioni aumentarono, suggellati dal gemellaggio con la Facoltà di Musica italiana dell’Università di Tokio. L’ostinato amante della musa Euterpe, conosciuto da Ranieri, Grace e Alberto Grimaldi, Frank Sinatra, Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Mario del Monaco, Bocelli, Benvenuti, Monzon, Horst Tappert, Maradona, Hagler, Valder, ecc, si trovò al centro dell’attenzione esattamente come il fratello Bruno, che prima di diventare scultore di chiara fama, era stato campione italiano ed europeo nella categoria dei pesi medi. Sotto i riflettori, Erio finì per l’eccezionale mole dei prodotti catalogati: 70 mila dischi su 200 mila; 10 mila spartiti su 300 mila; 1200 arrangiamenti di canzoni su un totale di 5 mila, eseguiti dagli orchestrali durante il Festival della Canzone dal 1951 in poi.

Completano la collezione: foto, autografi, locandine, prove di registrazione, bozzetti scenografici, microfoni utilizzati nelle varie edizioni della kermesse canora giunta quest’anno al sessantesimo appuntamento. La raccolta è fonte inesauribile di dati consultati da appassionati e nostalgici, ma anche da studiosi del costume e da futuri dottori della Facoltà di Lettere, con indirizzo Arte e Spettacolo. Sono nate così tesi di laurea da 100 e lode nell’ambito dei DAMS (Dipartimenti Arte, Musica e Spettacolo). Nel tempo, sono diventati frequentatori del Museo, anche coloro che Tripodi aveva seguito agli esordi del loro percorso artistico e che erano diventati successivamente, a fama raggiunta e consolidata, suoi amici ed estimatori. Quando se n’è andato, il 6 novembre 2005, sono stati in molti a compiangerlo. Ora che non c’è più, tocca alla figlia Anna andare avanti tra pentagrammi su leggii e note in aria, sotto la direzione di maestri di ultima generazione. La Fondazione del Museo finanzia borse di studio, promuove eventi, organizza manifestazioni culturali, realizza laboratori didattici, sia in Italia che all’estero. Molto vivace è il Centro Studi, fornito di biblioteca, discoteca, sala d’ascolto e sala per convegni e conferenze. Tra i momenti più significativi, rientra l’assegnazione del Premio Treno della Musica, a personaggi dello spettacolo. Ricordiamo tra questi: Domenico Modugno, Charles Aznavour, Motohiro Arai, Claudio Villa, Salvatore Adamo, Renato Zero, Gina Lollobrigida, Antonello Venditti, Pino Daniele, Little Tony, Riccardo Cocciante, Milva, Bobby Solo, Roberto Murolo, Luciano Pavarotti. Fiore all’occhiello è considerata l’Accademia, che permette ai giovani di sperimentare nel genere rock, jazz, pop, dance, hip hop. Lo studio di registrazione è quanto di più completo si possa immaginare sulla strada del suono. Dal passato più recente ci si avvia verso il prossimo futuro, senza trascurare l’attuale presente. Progettazione e realizzazione dell’originale struttura seguirono criteri ideali, il cui valore resiste nel tempo, come sinonimo di garanzia, serietà, custodia ed arricchimento culturale. Anni e anni di espressione musicale si identificano in note universali di rappresentazione e rappresentanza globale. Il Piccolo Coro delle Voci Bianche è un’altra realtà interessante del complessivo polo culturale simile all’omologa struttura giapponese, geograficamente lontana, ma vicinissima a chiunque nel linguaggio universale musicale. Nello stesso filone, si collocano le pubblicazioni. Doveroso dire che non sono a carattere celebrativo. Sono invece importanti sul piano della produzione letteraria inerente alla vita del Museo e della Fondazione affiancato ad esso. E così abbiamo: I graffiti nella storia, Il museo dell’Italia che canta, Da Genova sulle rotte dell’infinito, Erio: una vita di passioni.
L’excursus letterario comincia nel 1987 con il primo volume. Prosegue nel 1989 con il secondo. Va avanti con il terzo nell’ambito delle pubblicazioni inerenti a Genova, capitale europea della Cultura nel 2004. Si afferma quindi nel 2006 con il quarto. Voce a se stante si può considerare il testo intitolato Il Museo della Canzone, a cura di Virginia Consoli, edito nel 2005, sotto l’egida dell’Ateneo genovese, Polo universitario d’Imperia.
Emma Viscomi

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