Samo e Precacore: a spasso tra paesaggi veri e dipinti

Samo e Precacore: un solo sguardo e, contigui come sono, li cogli tutti e due.
Ruderi del passato da una parte, murales recenti dall’altra. I primi appartengono al vecchio borgo. I secondi al presente con tocchi felici sui muri delle case, fissati con il contributo dell’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria e con il patrocinio dell’Amministrazione comunale samese.

Scene di vita quotidiana si alternano a interpretazioni naif.

La stele di forma ellittica, posta all’ingresso del paese, è il simbolo dell’abbellimento generale espresso anche attraverso ripetuti trompe-l’oeil.

Non mancano i richiami a Pitagora, attorno al quale girano contrastanti teorie e tradizioni consolidate.

Sulla fondazione insistono i misteri più accreditati, con voci autorevoli a sostenere tesi da confutare. Di sicuro furono gli abitanti di Samo, costretti a lasciare la loro isola nell’Egeo orientale, per sfuggire alle persecuzioni del re persiano Dario. Approdati sulla costa jonica nel 492 a.C, fondarono una nuova città, con tanto di porto frequentato da navi dirette in tutto il bacino del Mediterraneo.

La colonia crebbe e prosperò fino al 216. Con la seconda guerra punica, le cose cambiarono. La grande città, estesa da Capo Bruzzano a Gerace con 80 mila residenti, si avviò verso la decadenza. Il processo fu irreversibile. Lo spostamento verso l’interno seguì alla distruzione saracena nel 976.
Il nuovo nucleo fu detto Palecastro, l’appendice Pelicore da perikore, cioè vicino ad esso. In seguito fu una successione di anagrammi sfociati in Crepacore, evoluto per metatesi in Precacore nel 1400. La scelta della definizione originaria è datata 1911. Anche l’attribuzione del nome segue spiegazioni logiche e fantasie leggendarie da verificare.

Nessun dubbio invece per la ricchezza raggiunta dagli abitanti, occupati come orefici, vasai, maestri d’ascia e scalpellini. Scavi in miniera garantivano la presenza dell’argento sul mercato.

Il monastero basiliano era fulcro di culto e di cultura. Delle sei chiese un tempo esistenti, resiste quella dedicata ai santi Sebastiano e Fabiano, con mura in pietra e calce, tetto a capanna, accesso sul lato occidentale con finestra quadrata sopra, navata unica, nicchie laterali e affreschi con Cristo pantocratore e figure accanto, secondo i dettami architettonici e pittorici bizantini. La chiesa di san Giovanni Battista è priva di copertura, conserva il vano campanaro e tracce visibili di un affresco dedicato alla Madonna nera.

Agli italioti di etnia sicula, antecedenti ai greci di Samo, è attribuita la grotta scoperta da Stefano Bonfà nella Piana di Litri. La struttura megalitica affrescata, modellata e adibita a tempio pagano, fu frequentata nel Siculo III ( 800- 650 a.C.), secondo quanto si deduce attraverso divinità e modalità dei riti rappresentati.
Per vivere le emozioni che solo il paese a misura d’uomo sa dare, basta collegarsi al sito www.tuttosamo.it, gestito gratuitamente dall’Associazione Webfriends.

Il territorio offre itinerari diversamente appetibili dal punto di vista storico, paesaggistico e culturale. Il senso della memoria è forte tra le vie dell’antico borgo. La forza, la bellezza, il trionfo della natura prevale lungo il percorso pedemontano della fiumara La Verde. Quando ci si addentra nelle gole formate da pareti verticali, si scoprono angoli di rara bellezza. In località Ferraina, si ammirano cascate limpide e chiacchierine, con giochi di luce riflessa nelle pozze sottostanti. Sentieri impegnativi conducono fino a Montalto. Arrivati nel punto dominante, si gode l’eccezionale vista dell’Altopiano della Sila, della Catena delle Serre, dei due mari, Jonio e Tirreno, con l’aggiunta dell’ Etna sulla costa siciliana e di Vulcano e Stromboli nelle isole Eolie. Lassù è stata sistemata la statua del Redentore, per volontà di papa Leone XIII, a ricordo del Giubileo del 1900, mentre il monoblocco in pietra di Lazzaro, su cui poggia la Rosa dei Venti, realizzata in bronzo, è stato collocato per decisione del Gruppo Escursionisti dell’Aspromonte nel 1994.

Flora e fauna cambiano man mano che si sale da 302 a 1955 metri di altitudine; difatti, la macchia mediterranea lascia il posto a querce, abeti e faggi, felci, muschi, licheni, rosa canina, anemoni e orchidee selvatiche. Qualche lupo è tornato ad abitare il suo regno primitivo, frequentato oggi da cinghiali, volpi, martore e tassi. Nell’aria volteggiano aquile reali e del Bonelli, falchi pellegrini e pecchiaioli.
Il silenzio della fascia collinare pedemontana del versante orientale dell’Aspromonte vive di fascino e poesia in ogni momento dell’anno. Riti sacri e profani si fondono all’atmosfera paesana con cadenze annuali.

Il 25 marzo è festa grande per Maria Santissima Annunziata. Il 29 agosto si porta in processione la statua di san Giovanni Battista. La Sagra della Pupa (bambolina di pasta azzima) rivive nel periodo pasquale. Per la Sagra del Vino bisogna aspettare il giorno di san Martino.
Emma Viscomi

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