Festival di Sanremo, 61 anni e dimostrali!

Davvero? Ormai è opinione comune che non invecchierà mai.
Con l’edizione 2011, il Festival dovrà dimostrare, ancora una volta, di vivere un’eterna giovinezza. Come conservi il suo appeal ever green, è presto detto: a colpi di scoop, spontanei e creati a tavolino, ripetuti e corretti, nuovi e vecchi, da due mesi a questa parte. Su tutti e tutto, stavolta non domina incontrastato il potere del conduttore.
Quest’anno tocca a Gianni Morandi tenere alta la bandiera della canzone italiana, con contorno di protagonisti sul palco dell’Ariston, curato nella struttura piena di giochi di luci come negli anni passati. Anche senza la presenza di interpreti dalla personalità prorompente, dalla voce potente e dal carisma assicurato. La manifestazione vive nel riflesso dello spettacolo che ruota attorno ad essa. Pareri quasi unanimi trovano l’appuntamento eccessivo, forzato, per via dell’estensione alle cinque serate. L’ex ragazzo di Monghidoro dovrà dimostrare di godere incondizionatamente del favore del pubblico, di essere divertente, scherzoso, esuberante. Quel che si dice, un perfetto padrone di casa.
Il carrozzone andrà avanti sulla scia della scaletta, che dovrebbe sembrare improvvisata anche se non lo è affatto. Forse non ci saranno gli intermezzi con galleria e platea poco graditi allo spettatore, che segue da casa, abituato allo stile delle trasmissioni che quotidianamente ruotano attorno alla kermesse canora più famosa del mondo.
A Sanremo, sono tutti disponibili. Interviste e dichiarazioni fioccano come neve in montagna. Tutti hanno da dire e ridire su qualcosa, a cominciare dalle previsioni sui primi tre classificati. Per il momento, non sono arrivate sonore smentite sulla rosa dei candidati, forse per scaramanzia nessuno include il proprio nome nell’elenco dei più papabili. Come nessuno aspetta di essere ripescato magari all’ultimo momento, con buona pace del motivo presentato, debole nel testo e scarso nella musica. Sanremo vive di look arditi, effetti speciali, scenografie inusitate e personaggi con messaggi incorporati. Vedere Rania di Giordania, bella come il sole e buona come il pane, pronta a parlare del contributo dato alla causa dei bambini bisognosi, appena lo scorso anno. Anche Susan Boyle è stata, a modo suo, una regina, passata dai fornelli di casa ai microfoni della ribalta internazionale, grazie alla sua voce straordinaria. E chi se ne frega se non ha il fisico asciutto, le unghie finte e i capelli infoltiti con toupet. Anche l’Antonella nazionale, sempre lo scorso anno, non ebbe quel che si dice il fisico del ruolo, ed apparve in carne come non avrebbe dovuto. Ma si sa che la tv è fatta di apparenze: in effetti, ingrassando impietosamente, dà conferma della buona salute di cui gode una persona. Si dice che parecchi si siano sottoposti a dieta ferrea nelle ultime settimane, per arrivare all’appuntamento con la Città dei Fiori in forma smagliante, rischiando di collassare. Mai, però, nel bel mezzo della propria esibizione. Sul palco, reggono a meraviglia, tensione e tenzone. Ma basta una domanda birichina durante un’intervista per mandare all’aria no comment e buona educazione. Naturalmente accuse di travisamento e smentite si sprecano fino a quando non intervengono di brutto quei buontemponi delle iene per dimostrare che non si tratta di uno scherzo, neanche se fosse Carnevale. Sanremo è umorale come una prima donna sul viale del tramonto. Né aiuta la temperatura, quasi sempre fredda con il supporto della tramontana, o la pioggia concentrata apposta per rendere indimenticabili le cinque giornate. Perché non è vero che la sfida è sul palco e finisce lì. Si svolge ovunque, anche oltre frontiera, con i più snob che scelgono Montecarlo come base del lancio che li aspetta, verso un orizzonte luminoso o nell’orbita spaziale più nera. Quanti ne sono passati dall’Ariston in 61 anni di note! Quanti sono ancora alla ribalta sulla scia di un successo mai più bissato. Quanti cercano di vivere di rendita per un anno, forse due. Poi, una volta appeso il microfono al chiodo, smettono di sognare e cominciano a lavorare. Sul serio, però.
In Calabria, quando si dice che uno “ caccia canzuni ” , si vuol significare che l’individuo in questione svolge un’attività che non giova a nessuno, praticamente inutile. Non la pensa allo stesso modo chi si muove nel mondo delle sette note: autori, manager, arrangiatori, ostinati a rincorrere proventi ormai perduti nel settore della discografia nazionale. Il piatto piange per via della crisi mondiale ma anche per mancanza di motivi in grado di restare nella mente di qualcuno per trenta giorni consecutivi. Figuriamoci per intere stagioni! Oggi, chiunque crede di essere autore, mettendo due note sul pentagramma. Ma non è l’accordo tra spazio e rigo a determinare il successo internazionale che fu di Volare. Quanti di noi sono in grado di ricordare il titolo delle canzoni vincitrici delle ultime passate edizioni? Neanche le canzoni che sembravano più orecchiabili delle altre sono entrate nell’immaginario collettivo di una intera nazione. Meno che mai nel patrimonio canoro mondiale. Non si identifica affatto nell’attuale generazione nessun cantautore. C’è una inaudita confusione di ruoli.Tutto passa nel dimenticatoio, a dispetto delle canzoni , in nome delle quali la competizione resiste ed insiste. A far che? A mantenere immutato un semplice, enorme circo mediatico che si chiama spettacolo. E così si confondono sacro e profano. Cioè una Patty Pravo con una Blue Belle del Moulin Rouge,, sinceramente più adatta ad ammiccare a destra e a manca sulla pedana di un locale notturno. O si punta sul lato B o fattore C che dir si voglia, più procace delle stelline che nulla hanno da dire nel mondo delle sette note. Come siamo caduti in basso se siamo costretti a concentrare la nostra attenzione, su certe prospettive. Basse anche loro, si capisce! Meglio puntare altrove e tuffarsi sulla scena complessiva di Sanremo, per avere qualche argomento più nobile di cui parlare. Ad esempio, la performance di un ospite, disposto a promuovere se stesso con un cachet da capogiro. Perché no? Ogni anno è una girandola di voci fra star annunciate e ritiri registrati. Il Festival è ormai nella fascia della terza età. Si dice che ogni tempo viva le sue stagioni si spera sempre migliori di quelle passate. I suoi 61 anni li dimostra, eccome. Anche se registra ascolti da capogiro, per curiosità, e abitudine degli spettatori, non sforna motivi degni di entrare nel prossimo futuro. E allora? Nell’impatto creato, il coro è unanime e si conclude con un augurio generale: lunga vita al Festival! Altrimenti, di cosa dobbiamo parlare?
Emma Viscomi

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