San Donato di Ninea (CS)

Piccolo nel formato. Grande nel passato. È San Donato di Ninea. Denominazione aggiunta e necessaria per ricordare la fondazione voluta da Ninevo, capo dei colonizzatori enotri, di cui parla Ecateo di Mileto, nella Descrizione della terra, nel V secolo a.C. L’antico popolo italico conosceva bene l’istmo tra Jonio e Tirreno, lungo direttive di marcia necessarie a scongiurare il periplo della penisola calabrese. La frequentazione del tratto che va da Sibari a Laos, passando per Esaro, Rosa, Varco e Palombaro, assicurò traffici utili in ogni tempo. Greci, romani, bizantini, normanni, svevi, angioini, aragonesi e perfino austriaci, trovarono nel sottosuolo salgemma, quarzo, mercurio, rame, cinabro, combustibili fossili, oro e argento. Lo sfruttamento dei vari filoni andò avanti per secoli, in quella parte del territorio definita dal Saraceni Conca dei metalli o California d’Italia. Documenti del passato illustrano nei dettagli le leggi da rispettare in materia di scavi. L’immane fatica dei minatori era a vantaggio degli sfruttatori, che pure dovevano versare a chi di dovere tributi e gabelle. Quando la portata delle estrazioni non assicurò adeguati profitti, furono abbandonate sia le miniere sotterranee che quelle a cielo aperto, caratterizzate da gradinate percorribili ancora oggi, in località poco distanti dal paese.

Oggi San Donato punta su risorse naturali e artistiche per farsi largo nel panorama turistico della Regione. Il Parco del Pollino gli appartiene. L’ambiente che ne circonda l’abitato è integro nella sua identità geografica, dovuta alla varietà altimetrica; difatti, passa da 180 a 1987 metri sul livello del mare. Acquaformosa, Lungro, Altomonte, San Sosti, Grisolia e Verbicaro si aprono a ventaglio sulla cornice naturale che comprende le frazioni di Policastrello, Ficara, Vallo Marino e Arcomanno. Pietraie e boschi sono esposti al sole dell’estate e alle intemperie dell’inverno insieme a pascoli e pinnacoli di rocce nude e scoscese. La parete più impervia è sul versante sinistro della Valle dell’Esaro. Ed è lì che si scoprono ripetuti passaggi su speroni verticali di natura calcarea. Pini loricati caratterizzano il Cozzo del Pellegrino, raggiungibile con buone scarpinate. Al Cozzo dell’Orso si arriva lungo il tracciato della vecchia ferrovia. La straordinarietà del panorama in cima si scopre dietro un costone di roccia che si staglia contro il cielo. Ed è subito mare, da Scalea a Palinuro. La Cresta di Vallescura si lascia alle spalle faggi e ontani prima di aprirsi sulla visione magica dello Jonio, a oriente, e del Tirreno, a occidente. Nella Catena della Mula si possono ammirare candide superfici di insospettabili nevai in pieno agosto. Ed ecco la sorpresa di cavalli allo stato brado, lanciati al galoppo. Per i geologi, non hanno segreti i fenomeni carsici dei dintorni. Dentro le grotte, appassionati studiosi aprono le pagine del grande libro della natura, scritto in ere lontane milioni di anni. Qui l’orogenesi è comune alle più ardite e spettacolari montagne del Trentino.
Tra i luoghi da visitare, c’è l’Antro di san Vito, utilizzato in passato come sepolcro durante i riti della Settimana di passione. Sopra uno dei due altari affiorano affreschi dedicati al martire cristiano, al tempo di Diocleziano. Sull’altro, una piccola cupola fa da tabernacolo. Nella piccola grotta, dedicata a Maria Vergine, ci sono dipinti a tempera di carattere religioso. In altre grotte sono evidenti schemi abitativi ricorrenti nelle civiltà rupestri mediterranee. Ciò che resta dell’antico Castello è adibito a case private, mentre mura di cinta e torre di guardia sono quasi completamente distrutte.

La Chiesa parrocchiale dell’Assunta, conosciuta anche come Chiesa della Terra, si erge in località Motta, espressione equivalente alla morfologia del luogo, costituito da materiale franoso. Di struttura romanica, piccola ma ben conservata, ha subìto rifacimenti tra il ’500 e il ’600. La pianta è rettangolare con abside a tre navate e pietra rustica a vista. Il prospetto principale, rivolto a valle, sovrasta l’abitato ed ha un bel portale con architrave, decorato con volta a strombatura unica inserita nella trabeazione. La stessa presenta tre lesene dall’ evidente funzione divisoria. Le nicchie delle due sezioni laterali sono prive di statue ma arricchite da paraste. La sezione centrale culmina con frontone ribassato di forma semicircolare, rosone cieco e lunette laterali. La ricongiunzione delle lesene con il basamento dà all’insieme una scansione armonica singolare, estesa a nicchie e portale. Non c’è un campanile vero e proprio, cioè un corpo a se stante; difatti, sul lato destro, si ergono le celle della torre campanaria, modanate e chiuse da lesene. Pochi gradini compongono la scalinata d’accesso con unico passamano a destra. Sempre a destra dell’ingresso, all’interno si trovano soppalco e coro. Il soffitto, di legno tinteggiato, conferisce al luogo di culto l’atmosfera giusta dei secoli passati. Mille per l’esattezza, dal momento che esiste dal X secolo. Nella tela esposta sopra l’altare maggiore, si riconoscono i caratteri propri della pittura di Mattia Preti. Al grande Cavaliere calabrese s’ispirò il pittore, che qualcuno identifica in Tommaso Fasano, nell’illustrare la Gloria di Maria Assunta in cielo, in risalto tra giochi di luce chiaroscurali. Un tempo vi era pure custodita una croce processionale d’argento, lavorata a sbalzo e a bulino, della seconda metà del ’400, realizzata da maestranze di Scuola meridionale. Statue di santi e confessionale sono del ’600.

L’arcipretura della S.S. Trinità, detta anche Chiesa Madre del Casale, si trova nel centro storico. Risale al XVI secolo. Presenta una sola navata e un’unica cappella ducale sulla destra, riconoscibile dallo stemma degli Ametrano, posto sulla lastra sepolcrale. Soppalco per organo e battistero sono all’ingresso. Il coro è dietro l’altare maggiore. Dispone anche di alloggio e sacrestia, più recinto scoperto, destinato all’ossario nei secoli passati. Il campanile, oggi in linea con il prospetto principale, ha tre campane e un orologio da torre. L’ affresco di san Pietro con le chiavi in mano è accanto al fastoso altare barocco di legno intagliato e dorato, sul quale spicca il quadro ad olio della Madonna del Rosario. Lungo le pareti laterali, abbellite con colonne dai capitelli corinzi sono allineati dedicati a Maria Immacolata, san Francesco di Paola e san Pasquale. Croci, statue e fonte battesimale, fanno parte del patrimonio sacro certamente più consistente nei secoli passati. Sull’arco in pietra di tufo scolpita della facciata barocca, spicca lo scudo con gli stemmi nobiliari delle famiglie Caracciolo e Sanseverino, che ebbero in feudo l’ampio territorio.

Il Santuario di san Michele è alle pendici di un’altura frequentata sin dal V-VI secolo. Si trova a un paio di chilometri dal centro abitato e consiste in due grotte comunicanti. Vi si accede attraverso un passaggio angusto. Le colonne accanto ad uno dei due altari fanno pensare al baldacchino edificato in epoche remote. Il culto dell’Arcangelo, introdotto nell’Italia meridionale dai Longobardi, è documentato su una parete dall’iconografia classica di Lucifero che soccombe sotto la spada dell’Angelo vendicatore. Su un altro affresco si indovina l’immagine della Madonna con in braccio Gesù Bambino.

L’itinerario religioso tocca altri luoghi di culto, famosi soprattutto in epoca medievale. La Cappella di san Donato sorge nella Frazione Pantano. È il cuore dell’ identità culturale e storica del paese. Costruita nel 1704, fu ingrandita nel 1893 e abbellita dagli Americani nel ’900. La facciata ha carattere essenziale. L’ingresso è sormontato da tre nicchie ad arco. All’interno troviamo due navate, divise da colonnato e sacrestia. Il centro è dominato dal grande dipinto ad olio su tela del Santo patrono, in gloria sul panorama del paese ai suoi piedi. Preziosi affreschi sono venuti alla luce durante occasionali lavori di restauro. Si tratta di 5 cicli pittorici su 2 diversi strati del X, XII e XIII secolo. Ora è premura di tutti farli tornare all’originario splendore.
L’antichissima Chiesa del Salvatore è nella frazione di Policastrello. Il primo intervento restaurativo voluto da Tommaso Vescovo di san Marco, è del 1346. Il bel portale ogivale in pietra finemente lavorata, è sormontato da una finestrella circolare e due piccole nicchie laterali. Sopra l’altare maggiore, è esposta la statua della Madonna del Rosario. Ai lati della nicchia con fastigio che la contiene, si trovano due belle tele, dipinte da pittori rimasti sconosciuti. Un pulpito del ’700, di pregevole fattura, sovrasta un bel confessionale intagliato. Nella quarta cappella di destra sono illustrati episodi della vita di san Francesco di Paola. Un affresco pregevole è dedicato all’Ultima Cena. Da segnalare anche lo splendido Crocifisso ligneo del ’600. Volendo arricchire le proprie conoscenze si può andare in visita all’Oratorio di santa Domenica per ammirare 5 affreschi del ’500. Di altri luoghi di preghiera restano tracce evidenti perfino su mura domestiche. L’oratorio di San Leonardo è diventato civile abitazione nel 1940. La memoria vivida dei cambiamenti succeduti nel tempo riguarda la Chiesa del Carmine, demolita nel 1960, in località Piazzetta, dove oggi si trova la statua della Madonna. Altre realtà religiose sono purtroppo scomparse definitivamente, travolte da eventi naturali. Come non pensare all’Oratorio di san Cristoforo, perduto per sempre nell’omonimo rione franato?
In questo borgo, tra i più significativi d’Italia, cultura, sapori e profumi s’incontrano piacevolmente nella Festa d’autunno, giunta quest’anno alla XX edizione, con la rinomata Sagra della Castagna.
Emma Viscomi

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