Roberto Benigni patriota a denominazione d'origine controllata - L'Italia ringrazia

Si presenta e soverchia il vuoto politico in chiave comica (ma non troppo), sociale, storica e culturale. L’ingresso è trionfale, in groppa a un cavallo bianco e in mano il tricolore. Novello Garibaldi, è pronto a combattere nel luogo apparentemente meno indicato e invece più congeniale. Il Festival è la ribalta ideale per parlare a milioni e milioni di persone. Il palco è pieno di aspettative. Il microfono è aperto. Lui non vede l’ora di sciorinare la sua lectio magistralis, non da docente universitario, ma da uomo dabbene, in grado di esprimere concetti profondi e di rapida interpretazione. Benigni ha il dono della parola. Ha il fascino dell’oratore più convincente. Non è la prima volta che intrattiene il pubblico con la grinta e la leggerezza che gli sono abituali. Questa volta supera se stesso con argomenti da manuale. Lo spettacolo, o vogliamo chiamarlo discorso?, resterà negli annali televisivi mondiali. Gli argomenti trattati sono tanti, attinti a piene mani dal bagaglio culturale personale. Il sapere di cui il Roberto internazionale dispone, è al di sopra delle possibilità dei comuni mortali. Fa il resto la sua capacità di comunicazione, la logica mostruosa di cui dispone, la sua strepitosa memoria. Pico della Mirandola, al confronto, diventa un dilettante allo sbaraglio. Il frutto della passione (dal greco pathos, uguale a sentire, avere coscienza e cognizione delle proprie emozioni) gli regala, al momento opportuno, ciglio e cipiglio. Con randello interdentale, fustiga chi crede di essere portatore sano di idee malsane. Lui, toscanaccio perspicace e sagace, interpreta a dovere lo sdegno dei benpensanti, restando sospeso tra il serio e il faceto. Lo fa in modo così semplice e cordiale che guadagna le simpatie anche dei più restii, abbarbicati su posizioni che non intendono mollare neanche per amore della Patria, quasi agonizzante, perché colpita al cuore. Altri avrebbero intonato alto un grido di dolore, al pari del Re di Savoia che sposò la causa del Risorgimento italiano. Lui no. Si rivolge a tutti i Fratelli d’Italia. A chi se no? L’appello è sublime. Da direttore di orchestrali privati di spartiti. Suona come una sinfonia di Verdi, presente al Festival con il suo “pensiero” che va sulle “ali dorate”, “sui clivi e sui colli”, dove aleggiano venti di guerre interne ai confini patri, fin qui uniti e derisi. Non sia mai!
L’Italia è una e indivisibile. L’Italia è di tutti, se è vero come è vero che è nata dal sacrificio di giovani meridionali e settentrionali. Di gente nata al centro e di eroi venuti da lontano. La fierezza del proprio passato passa attraverso la testimonianza di valori patriottici intramontabili. Si afferma attraverso la convinzione di farne parte al di là del tempo e dello spazio. Il Carroccio della Lega si mosse contro il Barbarossa, che avrebbe voluto soffocare le libertà comunali. I Vespri siciliani sono una pagina di diritti individuali e generali, calpestati e rivendicati. La Repubblica partenopea, il frutto di una volontà ferma e decisa. Quella romana, l’esempio di una conquista che la storia aspettava solo di registrare. D’obbligo, a questo punto, rievocare la figura di Angelo Novaro, poco più che un ragazzo quando sacrificò la sua vita per Roma Capitale. Nome quasi dimenticato quando si parla dell’Inno ricordato solamente con il nome del paroliere Mameli. E lui, Novaro, dove lo mettiamo? È sua la firma della musica che tutti conosciamo. E via a spiegare il testo con attenzione sillogica, sintattica e grammaticale, e la parola Vittoria in primo piano: i minuti concessi in scaletta non bastano per interpretare a dovere significato, virgole, soggetto logico, concetti espressi e da esprimere ancora. Occorre andare avanti. Di tutto e di più, in puro stile Rai.
Magico Benigni. Prende la parola e sorprende, come nessuno mai ha fatto o farà d’ora in avanti. Si concede il lusso di andare a ruota libera, di sostenere tesi inconfutabili su verità inamovibili, di dare una botta al cerchio e una alla botte perché necessario. Sa benissimo che un discorso, un libro valgono quanto, se non più, di una guerra vinta. Pellico docet. Sì, ma quando lo trovi oggi un altro Silvio alle prese le sue prigioni? Sottinteso che per il momento, dobbiamo accontentarci di Saviano. Benigni tira a conclusioni con eroi d’altri tempi. Ovvio il riferimento a Maramaldo, che uccide un uomo già morto …
E che tono leggiadro nei voli pindarici che mandano in visibilio la platea. Anche Morandi inneggia a Garibaldi con Uno su mille ce la fa. Per non parlare di Gigliola Cinquetti che diventa paladina del buon costume cantando a Sanremo Non ho l’età , molti decenni fa. Per Benigni, odierno jullare, i prodromi della storia della minorenne sono lì, con note e spazi fissati sul pentagramma! Che la musica abbia preso altre strade ai nostri giorni, diventa un optional nel corollario delle notizie che ci subissano. Viva l’Italia, direbbe De Gregori. Italia, Italia, gli farebbe eco Mino Reitano se fosse qui con noi. È il precedente che conta, che fa principio.
Che paese straordinario è il nostro! Ha avuto prima la cultura e poi i confini, quelli che tutti riconosciamo come naturali tra Alpi e Mari. Perfino nella forma geografica è unico. Vallo a trovare un altro stivale, in barba a Metternich che la definisce “pura espressione geografica”. E via di questo passo con citazioni che fanno pensare: Mazzini, Cavour, Cairoli, Bandiera, Confalonieri. Meglio sorvolare sulle omonimie, non si sa mai!
Il direttore generale Masi è seduto a due passi da questo incantatore di spettatori, oratore eccezionale. Peccato che non ci sia un Oscar pronto da consegnare. Benigni tocca l’apice al momento della conclusione, 45 minuti dopo il saluto d’apertura. Lo fa cantando Fratelli d’Italia senza accompagnamento musicale. L’orchestra è muta. Parla lui con la sua voce calda e profonda, bella nella tristezza del tono e nell’intensità dell’emozione. I presenti ascoltano rapiti, compresi nella magia del momento.
Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se anche il pubblico fosse stato invitato a cantare. Poi mi dico che la voce del solista fa più effetto di un coro, con qualche elemento stonato. Il dubbio resta, sottile, inquietante, ostinato. Aspetto la prossima esibizione per tirare le conclusioni. Speriamo solo che non debba aspettare fino al prossimo Sanremo per vedere all’opera il nostro campione di libertà e di parola. Altri avrebbero usato, forse, un’altra espressione ma non è nello stile di Benigni “scendere in campo” armato. Lui è diversamente abile. Ha il dono della parola. Quella sì che è arma efficacissima per uscire dal buio della notte più nera e intravedere all’orizzonte l’alba di un nuovo giorno.
Emma Viscomi

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