Ecce Homo a Soverato Superiore

L’appuntamento è nel cuore del paese, a lu chianu, spazio piuttosto ristretto tra casette che trasudano cronaca di vita cittadina, nel contesto generale di salite e discese che caratterizzano il centro storico di Soverato Superiore.

Ed eccoci davanti alla Compagnia dei Sognattori mentre danno voce ai fatti dei quali fu tragicamente protagonista Gesù, nel penultimo atto della sua vita terrena. L’atmosfera che si respira sta dietro al rito dell’ultima Cena, seguito dalla Passione del venerdì successivo al giovedì santo. Triste, dunque, con tante verità e significati reconditi nelle parole attinte a piene mani dagli scritti dei quattro evangelisti: Luca, Marco, Matteo e Giovanni. La fedeltà è totale nella selezione operata dall’autore, il professore Ulderico Nisticò, ancora una volta al fianco dell’attore e regista Tonino Pittelli. I nostri due istrioni realizzano insieme una rappresentazione certamente sacra nel contenuto, assolutamente rigorosa nella successione dei fatti, tecnicamente valida nella ricostruzione storica, avvincente sul piano degli argomenti, suggestiva nell’ambientazione sotto le stelle, con il buio della notte rischiarato da luce artificiale nei punti strategici. Con interesse si ascoltano spiegazioni di carattere storico e teologico, tralasciate in altre rievocazioni teatrali. Qui invece sono volutamente inserite a supporto della scena, introdotta e illustrata da quadri di autori rinascimentali.
La consapevolezza della tragedia prende forma attraverso la figura del Nazareno, agnello pasquale sacrificato per la redenzione del genere umano. Il contrasto socio-politico-culturale tra potere temporale e religioso, cresce nel tono di voce degli interpreti, adeguatamente calati nel ruolo di compìti lettori. Due donne e tre uomini, fermi in piedi davanti al leggìo su pedana rosso fiamma, come la Passione, e tutti drammaticamente ammantati di nero, come Maria e le pie donne.

Tonino Pittelli guida il manipolo composto da Rosanna Basanisi, sua moglie nella vita e sua compagna sulla scena, Anna Bova, Salvatore Gualtieri e Gianni Sangiuliano. L’attenzione è rivolta ai momenti salienti dell’intera Passione: lavanda dei piedi prima dell’Ultima Cena; attesa vigile nell’Orto di Getsemani; elucubrazioni mentali dei sacerdoti nel Sinedrio; inquietanti interrogatori nei palazzi di Erode e Pilato; flagellazione alla colonna; esposizione al pubblico ludibrio sotto la voce Ecce Homo, titolo dato all’ insolita lettura e interpretazione della vicenda accaduta duemila e passa anni fa. L’autore si concede qualche volo pindarico su prodromi necessari ad aprire parentesi con protagonisti di contorno. I riferimenti, logici e insostituibili, servono a introdurre Mosé, che regge in mano la tavola dei Comandamenti; Maria e Giuseppe diretti in Egitto, con Gesù in fasce; Solomé, per la cui caparbietà cade la testa di “colui che grida nel deserto”, Giovanni Battista. Scribi e farisei, altre turbe anonime e categorie a rischio, in quanto a equità di giudizio, si muovono ai margini.

In Ecce Homo hanno un nome i due ladroni: il buono Disma e il cattivo Gesta; il soldato, Tito Volturcio; il centurione, Caio Longino; l’immaginifica Claudia Procula, moglie di Ponzio Pilato, governatore romano che nulla fa per sottrarre un giusto alla fine ormai imminente. Il suo potere non si estende ai Giudei, di conseguenza nulla gli compete per evitare al Figlio dell’Uomo di morire sul Golgota, tuttavia inventa l’espediente della flagellazione, pensando di placare, in siffatto modo, la sete di sangue degli accusatori; Alessandro e Rufo sono i figli del Cireneo che aiuta Gesù a portare il pesante legno della croce. Anonima rimane la donna che riconosce in Pietro uno degli Apostoli. Hanno invece nome e potere i sacerdoti del tempio: Anna, Caifa, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, il quale si assume il pietoso compito di deporre Cristo nel sepolcro. Altri punti fermi sono gli episodi di Barabba, della Veronica piangente e degli Angeli del Male, che ruotano attorno a Giuda Iscariota, traditore per una notte e dannato per sempre.

L’introduzione in video permette di ammirare le opere d’arte che costituiscono il patrimonio ecclesiastico su cui poggiano i cardini dell’orgoglio locale paesano: Crocifisso ligneo; bassorilievo in marmo bianco di Carrara; figure angeliche; fonte battesimale di granito; busto, anch’esso in granito, di vescovo o forse di sant’Agostino; mezzobusto dell’Ecce Homo, eredità naturale delle Chiese erette sulla collina di Soverato la Vecchia. L’occhio della telecamera inquadra lo straordinario blocco della Pietà di Antonello Gagini, proveniente dall’omonimo Borgo del Convento di Santa Maria, ed oggi esposto nella Chiesa Matrice di Soverato Superiore, intitolata a Maria SS Addolorata. Il mezzo meccanico indugia sulla statua dal viso delicato, levigato, sorprendentemente giovane, irrorato di lacrime. In rilievo rimane la specificità della Virgo dolorosissima per eccellenza, come ricorda il canto sommesso del coro polifonico, intitolato alla stessa Madre Addolorata e diretto da Teresa Tropea. La magia è nella platea che non osa applaudire, catturata com’è dalla tragicità degli eventi narrati. Tamburi battenti accompagnano l’ingresso delle ballerine della Scuola di danza Exedra, diretta da Giusy Fiorenza e curata nella coreografia dalla maestra Jamaina de Oliveira. La loro uscita di scena è calibrata e silenziosa, compunta e composta. I personaggi delle voci narranti arrivano da lontano. Fisicamente, di sorpresa, colgono alle spalle, gli spettatori. Salgono in pedana e recitano subito pagine di toccante attualità. Ovunque nel mondo c’è sempre qualcuno che soffre, un giusto che paga per un peccatore. Gesù apre la strada che altri percorrono in suo nome. A cominciare da Don Giorgio Pascolo, parroco di Soverato Superiore, che trascina il suo operato nei patimenti senza fine del suo ginocchio martoriato. Lui, per primo, ha parole di elogio per la Pro Loco, di cui è presidente Giuseppe Chiaravalloti. Nelle frasi che pronuncia, domina il messaggio cristiano, ma entra anche il significato profondo della partecipazione alla vita sociale e culturale della comunità, di ogni persona, consapevole della propria funzione e umanità. Il controcanto sulle voci che portano avanti la Passione, dall’intimità del Cenacolo al sinistro panorama del monte Calvario, aumenta la suggestione. Il pathos di momenti sempre più emozionanti dilaga in chiusura. L’intermezzo canoro in lingua dialettale, riscatta sensi e significati intraducibili altrimenti. L’opera diventa drammaticamente vera quando Maria appare in compagnia di una pia donna. Maria di Magdala, probabilmente. Entrambe si nascondono sotto il nero del lutto, travolte dal proprio unico, grande, inconvertibile dolore. La commozione si tocca con mano. “D’ogni piaga, mi piago”, dice l’Addolorata davanti al Figlio. Che differenza con la soavità degli interventi per le cadute infantili e le atrocità che segnano il percorso fino al Golgota! Quando tutto pare finito, dal fondo del chianu, nell’occasione adibito a platea, appare una grande croce, simbolo del dolore universale, sotto la scorta di mesti accompagnatori.
Gianni Sangiuliano, robusto e imponente, provvede a issarla tra il silenzio generale. Seguono momenti di grande raccoglimento. Ciascuno riflette dentro di sé sui perché della vita. Chiede perdono per i propri peccati, rimette quelli altrui. Idealmente si prepara all’appuntamento con la rinascita pasquale. Al momento tutto è compiuto. Nulla divide. Nulla osta alla ricerca di una vita migliore. Nella speranza e nella fede, senza dimenticare la carità. Le tre virtù sono dentro di noi. Il tempo è vicino. Scattano in piedi tecnici e operatori, giornalisti e fotografi, semplici cittadini e autorità, con il sindaco uscente in testa, Raffaele Mancini, e l’assessore provinciale, Giacomo Matacera.
Emma Viscomi

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