Il canto funebre non trova più collocazione nella società attuale


Era considerato un dovere in molti paesi della Calabria

Il canto funebre, oggigiorno, si sente molto di rado. Non si piange più come una volta.
Alcuni psicologi hanno individuato in questa mancata abreazione (non solo durante i funerali ma anche quando ci si trova in qualsiasi situazione critica), la causa principale dei suicidi che, come è noto, nella società post-industriale sono diventati molto frequenti.
Senza voler entrare in un'analisi dettagliata del problema, diremo solo, che è venuta a mancare, negli ultimi tempi, quella che era una caratteristica esclusiva del mondo popolare.
Tra la gente per bene i canti funebri non trovavano alcuna collocazione; non esiste nessuna documentazione orale o scritta, che io sappia, che testimonia tale pratica nel mondo raffinato della borghesia. I ricchi non esternavano le loro emozioni: forse piangevano in silenzio oppure non piangevano affatto. Le persone umili, invece, avvertivano il bisogno di dare sfogo al proprio dolore col pianto (ricordiamo il lamento che Maria fece a Nostro Signore), con gesti a volte strazianti, con rituali che col tempo sono entrati a far parte della cultura di un posto perché accettati e condivisi da tutta la collettività.
E proprio perché appartenenti ad un modo di vivere, ad una mentalità collettiva il pianto funebre era considerato un dovere in molti paesi della Calabria. Il morto bisognava piangerlo se non si voleva incorrere in disavventure col morto stesso (capace di ritornare al mondo come spettro) o se non si voleva che la sua anima restasse vagante per troppo tempo prima di intraprendere il viaggio dell'al di là, o più semplicemente, se non si voleva incorrere nelle critiche negative dei presenti.
Ma non era sufficiente piangere il morto: bisognava saperlo piangere e più si piangeva bene, più c'era la possibilità di superare quella crisi di identità che sopraggiunge in simili situazioni. La perdita di una persona cara ci procura una sensazione di smarrimento, di confusione totale. Non sappiamo più chi siamo, dove ci troviamo, perché con quella perdita, è morta anche una parte di noi stessi.
Ecco allora la funzione importante del lamento funebre. La ciclicità del lamento, la sua ripetitività nelle esclamazioni.....tata miu....soru mia....cumpagnu miu....ecc. era garanzia di continuità: la vita continua anche senza l'estinto.

Chi non era in grado di saper piangere il defunto si rivolgeva alle lamentatrici professionali, le prefiche. Queste donne venivano chiamate a prestar la loro opera nei funerali dietro ricompensa e non bisogna, però, confonderle con le comari del rione, le quali accorrevano volentieri ai lutti e si associavano al dolore dei parenti del defunto.
Una caratteristica del lamento funebre, che rende l'idea di come doveva essere difficile "dividersi" dal proprio caro, consisteva nell'uso di rivolgersi al defunto parlando in modo diretto.
In questo tipo di canti troviamo frequente l'uso dei simboli e delle metafore che ci offrono delle immagini davvero toccanti come in questo antico lamento : Monarca miu.....quannu trasivi di vasciu....monarca miu....mi parìa 'na spata 'd'oru....monarca miu......culonna mia, quantu fatìga facisti....'ccù chisti mani....monarca miu....scuntenta mò è la vita mia, monarca miu....mi lassasti afflitta dintra quattru mura, cumpagnu miu...casa caduta, e sustegnu miu perdutu..... Luomo è considerato "il re della casa", per cui viene chiamato "monarca" paragonato alla potenza di una spada d'oro col manico di diamante, quindi soprattutto preziosa. La spada dunque come simbolo di ricchezza e di austerità. Ma l'uomo è anche la "colonna" quindi in grado di sorreggere l'intera casa, come un pilastro, una trave, con la sua autorevolezza e dignità di lavoratore.
Ed è proprio con il lavoro....quantu fatiga facisti...., la fatica delle braccia....'ccù chisti mani...che l'uomo si è conquistato l'appellativo di sostenitore della famiglia. Nella sua lamentazione la moglie ci tiene a dare risalto all'autorità del marito, come motivo di vanto, perché l'uomo è il padrone della casa ed è giusto che ella sia subordinata al marito. Con la sua morte viene a cadere quel sostegno....sustegnu miu perdutu....che renderà difficile la sopravvivenza futura.
Carlo Grillo
(Presidente Ass. Cult. "Calabria Logos" per la riscoperta e la rivalutazione delle tradizioni popolari calabresi)

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