Venerdì Santo al Calvario di San Leo Vecchio

Domani sera, Venerdì Santo, alle 18.00, presso i ruderi abbandonati di San Leo Vecchio di Briatico, borgo distrutto dal terremoto del 1783, si svolgerà, per il secondo anno consecutivo, il riallestimento dell'antico calvario a tre croci. Nella soglia simbolica tra il tramonto e la notte, tra la luce e il buio, l'antico calvario, icona della Passione di Cristo, verrà allestito con fasci di palme e ulivo. Nella nicchia centrale del calvario alcuni fiori di viola e garofani rossi, come la tradizione più antica prevede, poi l'antico manufatto, a metà strada tra San Costantino di Briatico e la nuova San Leo, verrà illuminato da decine di lumini rossi. Per la realizzazione di questa operazione culturale de Le Stanze della Luna è stata, anche quest'anno, ripulita la zona, da rovi ed erbe alte. Sarà già buio quando il vecchio calvario, illuminato da una fioca e suggestiva luce rossa, riprenderà vita, in un'ambientazione, altamente simbolica, che serve a sensibilizzare al recupero dell'identità del più antico calvario del territorio di Briatico. All'iniziativa, ideata dallo scenografo Franco Vallone e dalla psicologa Cristina Tumiati, patrocinata dal Comune di Briatico, attraverso l'Assessore alla Cultura, Agostino Vallone, sarà presente il sindaco Andrea Niglia, l'antropologo Luigi M. Lombardi Satriani, P. Maffeo Pretto, direttore del Centro Studi Scalabrini ed esperto di Pietà Popolare, la regista Donatella Baglivo, il fotografo Tommaso Prostamo. Alla nicchia centrale del calvario, attraverso un simbolico gesto, verrà consegnata la copia di un antico testo, un "Orologio della Passione" che si recitava in vernacolo proprio nella zona di San Leo Vecchio, un documento recuperato nel '900 dall'illustre folklorista Raffaele Lombardi Satriani di San Costantino di Briatico. Ma ecco come Luigi M. Lombardi Satriani, nell'edizione dello scorso anno, ha illustrato ai presenti, la funzione e il valore antropologico dei calvari: "I calvari segnavano la fine dell'abitato, erano costruiti al termine del paese, una posizione significativa perché così i calvari si pongono tra l'esterno e l'interno, e, rappresentando il ricordo della passione e morte di Cristo, possono essere visti come una sorta di tomba paradigmatica del Cristo. Ma Cristo, a sua volta, è morto paradigmatico, perchè Cristo muore e attraverso la sua resurrezione tutta l'umanità risorge, questo è anche il senso liturgico, il senso cristiano della risurrezione di Cristo. I calvari costituiscono una sorta di protezione simbolica di tutto l'abitato rispetto alle negatività, ai pericoli. Come le mura recintavano lo spazio abitato proteggendolo dai rischi realistici c'è anche la necessità di proteggerli da un rischio simbolico, rappresentato dalla negatività. Il Cristo e il calvario costituiscono la protezione massima per l'abitato. Anche a San Costantino, al termine del paese, era posto il calvario, come anche a Briatico e in tanti altri paesi, poi, naturalmente, l'espansione urbanistica molte volte supera anche spazialmente questo; va in crisi il modello urbanistico, e quindi anche la griglia di protezione. Volendone dare una lettura antropologica, Mariano Meligrana ed io nell'opera Il Ponte di San Giacomo, abbiamo parlato di questa funzione di tomba paradigmatica del Cristo; il calvario costituisce una linea di demarcazione, è la protezione massima. Stabilisce una sorta di "al di qua e al di là". Divide lo spazio dove c'è la legge, la comunità, la città, da uno spazio dove c'è il disordine. Nell'architettura tradizionale dei nostri paesi e nella topografia simbolica i calvari assumono un significato fondante, di grandissima valenza, quindi costituiscono anche una testimonianza, oltre che architettonica, anche di quella che era la cultura tradizionale dei nostri paesi. Il mascherone con la lingua di fuori, con le corna, ad esempio, ha per il territorio una funzione apotropaica, contro il male, contro l'invidia, contro il malocchio. Il calvario ha una funzione ancora più complessiva, di protezione, di tutto lo spazio. Protegge il noto dall'ignoto, carico di minaccia, di pericolo. Rende lo spazio del paese - di fronte a questo calvario c'era appunto San Leo Vecchio - uno spazio abitabile senza pericolo, ovviamente senza pericolo simbolico.
Franco Vallone

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