Invasione di Giganti e Giganti a Vibo Valentia

Ti svegliano di prima mattina con i loro tamburi. In principio si fanno solo sentire, da lontano, ti comunicano che sono arrivati e che oggi non è un giorno qualsiasi. Poi lentamente si avvicinano e si fanno anche vedere. Oggi è festa, e loro devono aprire il tempo speciale che solo la festa può dare. Sono i giganti, esseri enormi, fantocci grandi, colorati, simulacri arcani, speciali, proprio come il tempo che rappresentano e simboleggiano. I due giganti fanno parte di una un’antica tradizione calabrese e molto radicata in provincia di Vibo Valentia. “Jijante, gehante, gehanti, gihanta, giaganti”: sono solo alcune delle denominazioni dei giganti nelle diverse aree della Calabria. In alcuni luoghi i due fantocci vengono chiamati semplicemente giganti e gigantessa, in altri “Mata e Grifone. I giganti sfilano per le strade durante le feste di paese per allietare, con i loro balli, un pubblico di piccoli e di grandi e per “segnare” di festa il percorso del paese. Un assordante suono di tamburo precede l’avanzare dei giganti; rullante e grancassa vibrano freneticamente, in un inconfondibile e caratteristico ritmo ripetitivo, per annunciare che “stanno arrivando”, e le scariche di adrenalina si traducono in brividi che corrono, veloci, dietro la schiena.I due si corteggiano, ballano, girano l’uno attorno all’altro e si rapiscono in un vorticoso gioco di affascinazione e di incanto. In un rituale antichissimo tracciano un itinerario magico e simbolico. La festa è il loro mondo, il ritmo la loro vita, la strada e la piazza il loro movimento. I giganti, alti oltre tre metri e mezzo, hanno fatto passare notti insonni ad intere generazioni di bambini. Mata e Grifone, dalla testa di cartapesta o di latta battuta e sbalzata, abiti a fiori e strisce segnati da colori sgargianti e mani indescrivibilmente viscide e inumane, incutono terrore a tutti, una paura profonda, mista al piacere della sfida. Una forte emozione solca il divertimento dei bambini, esorcizza e supera una paura innata e collettiva. Un divertimento che consiste nel cercare di toccare i giganti, ancora una volta, per superare la paura stessa. Una sfida per il gigante e la gigantessa che a loro volta rincorrono e cercano di raggiungere e toccare proprio quei bambini che dimostrano di avere più paura. Ma da dove provengono e cosa rappresentano questi alti fantocci? Queste figure disumane arrivano da molto lontano, rappresentano due antichi regnanti, di culture profondamente diverse, che si innamorano e durante il loro lungo cammino nel tempo si sono caricate di mito e di simboli. La gigantessa è una regina indigena, molto appariscente nelle forme, corredata da collane variopinte, grossi orecchini, guance colorate, frutta e fiori di plastica, fischietti, medaglie dorate e piume colorate… il trionfo del kitsch, il cattivo gusto estetico e dell’oggetto goliardico, valori formali negativi che si ribaltano continuamente divenendo sapienti contenitori della bellezza popolare. Il gigante è un re turco solitamente caratterizzato da un cappellaccio nero, da una corona piumata o da un elmo e grandi baffi neri a manubrio. Alcuni racconti popolari narrano la storia di una regina rapita da un re venuto da molto lontano, dal mare, dalla Turchia, altri li vedono nella cultura popolare della Spagna e vengono in mente ambientazioni che ricordano la Calabria durante la dominazione spagnola, poi ancora al periodo delle incursioni turche e ai saraceni. La radice storica popolare del ballo dei giganti è di probabile origine aragonese. Il contatto con la dominazione catalana fece pervenire il Sicilia e in Calabria questa tradizione tutt’ora fortissima in Catalogna. A testimonianza di un’antica matrice culturale presente nell’area del Mediterraneo ancora oggi ritroviamo manifestazioni popolari con l’uso dei giganti processionali in Spagna, a Malta, ma anche in Belgio, Francia e in Grecia.
Franco Vallone

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