Il Santuario della Madonna della Grotta di Bombile (RC)

La facciata, intagliata nella roccia bianca di arenaria, fa parte del fianco dritto di un costone aperto sul versante sud di Bombile, piccolo centro di 49 anime nel comune di Ardore, in provincia di Reggio Calabria. Per diritto ecclesiastico, fa parte della Diocesi di Gerace. In origine fu rifugio di monaci ed eremiti. Solo nel XV secolo si aprì al culto della Vergine Maria. Testimonianze brevi e concise recano la firma di monsignore Ottaviano Pasqua e del canonico penitenziario Giuseppe Antonio Parlà. Entrambi concordano con le verità contenute nelle epigrafi lette all’interno della costruzione. Una reca la data del 1508. Si trova sulla barretta della statua venerata dai fedeli sin dall’anno della collocazione sotto la volta ricavata all’interno della nuda roccia. La devozione nacque sulla scia di leggende di uomini di terra e di mare, decisi a dimostrare perpetua riconoscenza alla loro protettrice, una volta scampati a peste e tempeste, ma fu l’immancabile carro di buoi a portare il simulacro votivo nel luogo più adatto.
Gli animali, miti e pazienti, conclusero il loro viaggio davanti all’antro naturale presente nella roccia. Un altare bellissimo, in marmo policromo, completo di colonne e lesene, accolse nel 1749 il bianco di Carrara che abili mani di allievi della Scuola di Antonello Gagini, se non lo stesso Maestro, avevano trasformato nella figura a tutto tondo di Maria Santissima e Gesù Bambino con colomba bianca in mano. In corso d’opera, divenne indispensabile avere a disposizione sufficienti risorse idriche. Ancora una leggenda narra che acqua freschissima e purissima sgorgò da una sorgente che continua a fornire utili approvvigionamenti anche ai nostri giorni. A nulla valse il tentativo dei monaci basiliani di custodire la preziosa statua all’interno del loro convento, nei pressi del centro abitato. Un successivo quanto mai almeno nei modi inspiegabile trasferimento la riportò nel romito sito originario.
Ai lati del Santuario, furono ricavati due ampi spazi, adibiti a deposito e foresteria. Gli alloggi dei monaci consistevano invece in piccole celle. Una sola era ampia, annerita da umidità e forse anche da fiamme, caratterizzata dalla scritta 1571, definito in testi storici “ numero lucente di materia che dà vista di oro massiccio”. Le grotte dei piani superiori erano senz’altro migliori: areate, asciutte e salubri, garantivano una vita di preghiera ma anche di sacrifici inerenti alla vita monastica. Arrivare lassù non era impresa di poco conto. Non lo è neanche ora con 144 gradoni distanziati in modo da rendere percorribile il dislivello di 28 metri rispetto all’abitato di Bombile, a sua volta a 260 metri sul livello del mare. Impraticabilità o no del territorio, il Santuario fu per secoli uno dei più frequentati e famosi della Locride. Consacrato nel 1625, fu rimaneggiato in seguito fino ad avere una sola navata. L’aggiunta di due cappelle laterali dedicate una a Gesù Crocifisso e l’altra alla Madre Addolorata, fu decisa nel 1891, quando il portale d’ingresso fu completato con colonne corinzie dagli inconfondibili capitelli di foglie d’acanto. Secondo la tradizione, ai fedeli, arrivati davanti al Santuario per la prima volta, spettava il compito di far sentire il suono dell’unica campana, alta sulla roccia e priva di batacchio, a colpi di sassi, monete o pezzi di ferro. Solo così potevano garantirsi la certezza di ripetere il pellegrinaggio negli anni successivi. L’appuntamento era fissato per il tre maggio, ma le veglie cominciavano tre giorni prima, con riti religiosi e divertimenti pagani. Mistico e profano culminavano in liturgie, tarantelle e scialate, con l’immancabile consumo di cagli, nzuje e mostaccioli.

L’interruzione arrivò per tutti il 28 maggio 2004. Un crollo di grosse dimensioni si abbattè alle ore 12,30 sul Santuario. La roccia sovrastante si sbriciolò in una infinità di materiale fino all’altezza di 10 metri. Diverse persone, appena uscite dalla Chiesa, assistettero incredule al disastro ecologico di enorme portata, per fortuna, senza vittime.

Il recupero dell’opera del Gagini, rimasta miracolosamente intatta, mobilitò uomini e mezzi, laici e religiosi. Finalmente tre anni dopo, la difficile impresa andò a buon fine. Oggi si trova a Bombile, nella Chiesa Parrocchiale dello Spirito Santo con una bellissima novità: la testa coronata di Gesù e Maria, con una preziosa creazione di Gerardo Sacco.
Emma Viscomi

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