Processione della Santa Spina a Petilia Policastro - Tre chilometri di fede, preghiera e penitenza

Le lancette dell’orologio erano ferme sul primo quarto della prima ora di giorno 8 marzo, nell’anno del Signore 1832, quando si scatenò l’inferno nella zona sud orientale della provincia di Crotone. L’alba del nuovo giorno portò alla luce lutti e rovine, ovunque nell’alto Marchesato. A Petilia Policastro, erano bastati undici interminabili istanti perché il paese si trasformasse in un cumulo di sassi, ammucchiati disordinatamente per le vie. La natura carsica del territorio fece il resto, aprendo voragini dove non ce n’erano mai state, inabissando quelle già note, minando alla base ambienti, diventate improvvidamente pericolosi per l’incolumità degli abitanti. Tra i cinquemila residenti, le vittime furono 29. Un miracolo, data l’entità della catastrofe. La violenza del sisma spazzò via misere case, sontuosi palazzi e secolari chiese. Risparmiò il Santuario della Santa Spina, costruito nel ’700 accanto al Convento dei Frati Minori Osservanti, risalente all’anno 1000.

L’inserimento della nuova struttura, nel contesto naturale di faggete e castagneti, accrebbe il fascino del luogo, distante dall’abitato tre chilometri, e ritenuto, a ragion veduta, mistico e suggestivo, nonché meta di pellegrinaggi e punto di riferimento per i petilini, emigrati in tempi di fame e miseria, e sparsi, allora come oggi, in giro per il mondo. Al sagrato si arriva lungo strade in salita e in discesa. Il ponte cinquecentesco del torrente Soleo, rappresenta idealmente il punto d’incontro tra Vecchio e Nuovo Testamento, una sorta di passaggio obbligato, e comunque anello di congiunzione, non frattura, dunque, tra realtà dolorose del passato, difficoltà contingenti del presente e speranze coltivate per il futuro.
Il Santuario ha una bella facciata a capanna, semplice, essenziale nelle sue linee. Su di essa spicca un bel portale a tutto sesto, guarnito di colonne e architrave e reso importante dal fastigio, sormontato dalla finestra inserita al piano di sopra. Il campanile trecentesco ha forma quadrata, portale con battenti comprendenti spazi rettangolari scolpiti in legno, grandi monofore, inserite nei due piani sovrastanti. Il terzo è poligonale e presenta copertura a cuspide. Nell’interno, a navata unica, colpisce immediatamente la preziosità del soffitto ligneo, abbellito da decorazioni pittoriche di chiaro stampo barocco. Rilevante è la scena di san Francesco di Paola, colto in un momento di sublime estasi, ispirata dall’archetto di un violino, toccato magicamente dalla mano di un angelo. Altri dipinti ad olio di notevole interesse storico-artistico riguardano: san Michele, Sacra Famiglia, ultima Cena e Cena francescana. Una ricca pala intagliata e dorata, accoglie piccole nicchie e dodici busti scolpiti in legno, a rilievo. Fanno parte del patrimonio ecclesiastico, figure in marmo del ’700. Angeli per l’esattezza. C’è anche una Madonna col Bambino, sempre dello stesso periodo ma di scuola e provenienza partenopea, oltre alle apprezzabili copie di capolavori del “Cavaliere calabrese”, apposizione con cui è universalmente conosciuto Mattia Preti. L’abside è adorna di un ricco fastigio ligneo intagliato e dorato. Imponente è l’altare maggiore, con rilievi figurativi del 1764. Altra opera di pregevole fattura è la Cantoria, arricchita di decori secondo i canoni imposti dallo stile Barocco. L’impronta di Cristoforo Santanna domina le opere, ammirate da visitatori attenti e interessati alla produzione del pittore di Rende, entrato di diritto negli Annali della Storia dell’Arte di casa nostra.

Una nota a parte meritano quadro e sepolcro del cardinale Dioniso Sacco. Nato a Petilia, abbracciò giovanissimo la regola francescana. Indossò il saio, fece voto di obbedienza, castità e povertà, e si trasferì in Francia per seguire i corsi del Fiorentissimo Studio. Successivamente fu nominato vescovo di Reims. Oltralpe, la fama della sua straordinaria preparazione negli studi umanistici, la profonda competenza teologica, l’innata capacità di dialogo e comprensione, lo portarono a ricoprire un ruolo ambitissimo da altri: consigliere e confessore personale di Giovanna di Valois, moglie di Luigi XII. La Regina, nel 1523, in segno di personale riconoscenza, offrì in dono al religioso un omaggio straordinario: una spina, facente parte della corona posta a Gerusalemme sul capo di Gesù, dichiarato per scherno Re dei Giudei, e ormai avviato, dopo la flagellazione alla colonna, alla Via Crucis, culminata con l’estremo sacrificio sulla collina del Golgota.

A Petilia, ogni anno, si rappresenta la Passione e la Crocefissione del “biondo Nazareno”, salvatore del mondo, il secondo venerdì del mese di marzo. Comparse e protagonisti in costume, lasciano la Chiesa di san Nicola e procedono lentamente per le strade in salita e in discesa. Il grosso centro crotonese vive in questo modo un’autentica rappresentazione itinerante. La processione è lunga. La commozione traspare nelle lacrime delle donne, vicine per loro intrinseca natura, alla Madre Addolorata per eccellenza. È evidente nel gesto rispettoso degli uomini che si tolgono il cappello al passaggio del Figlio dell’Uomo curvo sotto il peso della croce.

Gesù di Nazareth non è solo nel rinnovato percorso di dolore. Avanza piano ammantato di rosso. Anche la tunica che indossa ricorda l’onta ricevuta col titolo di Re dei Giudei. Dietro di lui sfilano altri uomini condannati a portare la croce: 12 in totale, quanti gli Apostoli, assenti e sgomenti, in verità, dall’Orto di Getsemani alla fine del Calvario. Pure loro trascinano la croce, contriti nel vestiario rigorosamente viola, colore universale per la Chiesa cattolica, in periodo quaresimale. Il Cristo, cioè l’unto, compie la sua marcia silenziosa scortato da legionari romani. Completano il quadro, uomini giusti (Cirenaico e Centurione) e pie donne (Maria, Maria di Magdala e Veronica).

È lei che compie un gesto di estrema pietà e dà il nome al telo di lino su cui il Redentore del mondo lasciò l’effigie del volto, solcato da lacrime, sudore e sangue. E lacrime, sudore e sangue furono gli elementi necessari alla ricostruzione di Petilia, distrutta dal terremoto nella fatidica notte di fine inverno di 188 anni fa. La rinascita si avviò sulla base della devozione dovuta alla Santa Spina, custodita in un astuccio con rilievo e corona reale, incastonato nel tabernacolo decorato con dodici teste angeliche, prodotto di alta oreficeria francese del ’400.

Fu per espressa volontà del cardinale Sacco che la preziosa reliquia giunse a Petilia; difatti, in punto di morte, la consegnò al nipote e confratello Ludovico Albo perché fosse custodita e venerata nei secoli. La trasmissione del bene, supremo lascito regale, sollevò contestazioni di ogni genere. Riforma e Controriforma scatenarono illazioni basate su conflitti di carattere religioso. Per il Clero di zona, preoccupazione di prim’ordine, fu attestarne l’autenticità, attraverso indagini e procedimenti tipici di un regolare processo religioso a scopo dimostrativo. Ad avviarne la celebrazione fu l’arcivescovo di Santa Severina, Francesco Antonio Santoro.

Determinanti furono le testimonianze di monsignore Sertorio e di monsignore Orsini, membri del Concilio di Trento. La ricerca fu lunga, condotta secondo criteri severissimi. Nulla fu lasciato al caso. Nulla rimase d’intentato. L’autenticità fu dimostrata con meticolosità rigorosa. Non si poté agire diversamente in tempi di Riforma e Controriforma, con l’Inquisizione pronta a stroncare eccessi ed eresie. Inopinatamente erano venute fuori implicazioni perfino di carattere nazionale, con la Francia disposta ad assumersi la responsabilità dell’ operato della nobile figura della generosa regina, e la chiesa di Petilia, ugualmente disposta a gridare al mondo il possesso legittimo del venerato simulacro. Finalmente si arrivò alla verità conclamata. Il 2 dicembre 1573 si diede via libera al culto perpetrato nel corso dei secoli, fino ai nostri giorni .

Il culmine della devozione si tocca con mano in occasione del pellegrinaggio di fede, preghiere e penitenze che si svolge ogni anno, il secondo venerdì di marzo, coinciso quest’anno con il successivo al Mercoledì delle Ceneri che apre alla Quaresima. La preparazione comincia con la novena di meditazione, sotto la guida spirituale di sacerdoti del luogo. Nel giorno indicato dal calendario, il corteo si muove lentamente sotto la regia del Gruppo storico di Natess. Il servizio d’ordine passa attraverso il controllo istituzionale dei Carabinieri, con il capitano Mazzotta in testa; della Protezione civile e dei Vigili del fuoco, coordinati dall’ingegnere Marcello Lombardini, responsabile della sede provinciale crotonese; della Polizia municipale diretta da Rosamaria Mannarino, comandante in capo. Nel contesto amministrativo, spicca la figura del sindaco, Dionigi Fera, con tanto di fascia tricolore.. La provincia di Crotone ha come rappresentante il presidente Stanislao Zurlo. La lunga processione va avanti per ore, con la partecipazione di fedeli, provenienti anche dalle zone limitrofe. Le cerimonie di rito, di apertura e chiusura, sono officiate da monsignor Salvatore Frandina, vicario generale della Diocesi di Crotone e Santa Severina ; don Giuseppe Marra, parroco della Chiesa di Santa Maria Maggiore; padre Cimino, della Congregazione degli Ardorini, parroco della Chiesa di san Francesco di Paola, tutti insieme in testa al corteo. Un ruolo d’onore spetta agli emigrati, tornati a casa per l’occasione da Torino, Genova, Roma. L’arrivo al Santuario è sull’imbrunire. Con le prime ombre della sera, cala il sipario anche sulla sacra rappresentazione. Il seguito si realizza nel giorno della Festa del Ringraziamento, nella Chiesa di san Nicola pontefice. Niente a che vedere con l’omonima ricorrenza annuale statunitense del 25 novembre, caratterizzata da troppa apparenza ed eccessivo consumismo. Qui si tratta di chiudere in bellezza l’ appuntamento con cuori semplici, dalla spiritualità molto sentita e molto bene manifestata.
Emma Viscomi

Foto di Mimmo Rizzuti, estratte da "attimi di paese: petilia in web".

Commenti

Post popolari in questo blog

Maria Gabriella Capparelli, una cosentina di successo al TG1 di Unomattina

Gli affreschi di Renoir a Capistrano – un mistero svelato

Ciucci di Calabria